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Lavoro: perché la ripresa è ancora lenta

Lo studio della Bce: la sotto-occupazione, soprattutto, è tra i principali motivi per cui non si evidenzia un aumento dei salari
di Fabio Germani

Nel mese di marzo, secondo l’Eurostat (l’ufficio statistico dell’UE), il tasso di disoccupazione nell’Eurozona si è attestato al 9,5%, ai minimi da diversi anni, stabile sul mese precedente e in calo dal 10,2% dello stesso periodo del 2016. Un trend positivo, insomma, in linea con la risalita economica cui abbiamo iniziato ad assistere da qualche tempo. Tuttavia le cifre potrebbero essere molto più elevate, se considerassimo altre variabili all’interno del mercato del lavoro.

A farlo notare è la Banca centrale europea, nell’ultimo bollettino economico. Secondo la definizione dell’Organizzazione internazionale del lavoro, su cui si basa il tasso di disoccupazione dell’area euro – osserva la BCE – viene considerato disoccupato chi è senza lavoro; è disponibile ad iniziare a lavorare entro le due settimane; è alla ricerca attiva di un impiego. In altre parole: nella platea allargata dei senza lavoro non è detto che tutti soddisfino i criteri di riferimento e soprattutto le rilevazioni non tengono conto della sotto-occupazione, tra i principali motivi per cui non si registra un aumento dei salari.
Ad esempio l’istituto di Francoforte rileva nell’Eurozona un 3,5% della popolazione in età da lavoro che è inattivo, in molti casi perché “scoraggiato”, nella convinzione che sia impossibile al momento trovare un posto (alimentando la cosiddetta “zona grigia dell’inattività”, in cui confluiscono gli inattivi che in verità, a determinate condizioni, potrebbero risultare impiegabili). Per quanto riguarda i lavoratori che possono essere definiti “sotto-occupati”, questi ultimi rappresentano il 3% di chi ha un impiego: vorrebbero lavorare più ore, ma non viene loro concesso. Attualmente, secondo le stime della BCE, sono circa 7 milioni le persone costrette a tale condizione (l’aumento, dall’inizio della crisi, sarebbe più o meno di un milione di unità). In questo modo le misure più ampie di disoccupazione, combinando cioè le stime dei disoccupati e quelle dei sotto-occupati (tra precari e part-time involontari), suggeriscono che la porzione più svantaggiata comprende il 18% della forza lavoro nell’area della moneta unica, quasi il doppio del calcolo dell’Eurostat.
Analogamente in Italia, nella valutazione macroeconomica del disagio sociale elaborata da Confcommercio (il Misery Index), si osserva l’andamento della disoccupazione estesa, vale a dire l’area dei disoccupati, dei cassaintegrati e degli scoraggiati. A marzo 2017 il tasso di disoccupazione è aumentato all’11,7%, con il numero di disoccupati in rialzo di 41 mila unità sul mese e di 86 mila rispetto ad un anno fa. La disoccupazione estesa, dice Confcommercio, si attesta nello stesso mese al 14,4%, “sintesi di un incremento della componente ufficiale e di una riduzione di quella relativa alla CIG e agli scoraggiati”.

@fabiogermani

 

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