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Imprese: l’importanza dei mercati esteri

Negli anni della crisi le imprese orientate all'export sono quelle con una maggiore solidità e tra le più competitive
di Redazione

Negli anni della crisi le imprese che sono riuscite a mantenere la propria solidità sono state soprattutto quelle con una forte vocazione all’export. Nell’ultimo rapporto annuale, l’Istat sottolinea “l’importanza della partecipazione ai mercati esteri per la competitività delle imprese italiane nei difficili anni della seconda recessione”.

Gli anni della seconda recessione – a partire dal 2012 – sono stati caratterizzati dalla debolezza della domanda interna, mentre quella estera trainava l’economia. Nel periodo precedente di crisi (2008-2009) si era invece assistito ad un importante rallentamento del commercio internazionale. Ma successivamente, con la ripresa di quest’ultimo, la quota delle imprese “in salute” – tra quelle che operano a livello internazionale – ha superato per la prima volta la quota di quelle “a rischio”.
L’Istat suddivide, infatti, le imprese in tre tipologie, quelle “in salute”, “fragili” e “a rischio” a seconda dei criteri che riescono a rispettare: la “redditività sostenibile” (la capacità dell’impresa di ottenere una redditività operativa superiore al costo medio del capitale di terzi), la “solidità sostenibile” (la capacità dell’impresa di resistere all’andamento sfavorevole del mercato grazie a un adeguato livello di indebitamento), la “liquidità sostenibile” (la capacità dell’impresa di mantenere un livello di liquidità in grado di coprire adeguatamente le fonti di finanziamento a breve termine).
Le imprese “in salute” sono perciò quelle che presentano una piena sostenibilità in tutti e tre gli ambiti; le imprese “fragili” sono quelle con redditività sostenibile, ma con solidità o liquidità non sostenibili; le imprese “a rischio” sono quelle con redditività non sostenibile.
La situazione del commercio internazionale si è di nuovo capovolta nel biennio 2014-2016, con il rallentamento della domanda causato da diversi fattori (crollo del prezzo del petrolio, economie emergenti in affanno….). Quali tipologie di impresa hanno saputo resistere meglio? L’Istat individua quelle a maggiore sostenibilità economico-finanziaria: in questo caso il valore delle esportazioni è aumentato per il 39% delle unità “a rischio” e il 49,4% delle “fragili”, mentre le società “in salute” sono le uniche in cui l’incidenza delle imprese con variazioni positive di export supera il 50%.
Ma anche le strategie delle imprese possono avere un impatto significativo: molto può dipendere dalla diversificazione dei mercati di destinazione e dei prodotti esportati. In particolare, specifica l’Istat, all’aumentare del numero di aree di sbocco delle esportazioni si associa un miglioramento dello stato di salute economico-finanziaria, mentre questa relazione è meno marcata rispetto all’aumento dei prodotti esportati.
Per rendere l’idea: la quota delle esportatrici “in salute” si attesta al 25-30% se si opera in un solo mercato estero, ma passa al 45% per le imprese che sono presenti in tutte le dieci aree individuate (vengono definite “global” quelle che operano in almeno cinque aree extra-europee). In sostanza, tra le esportatrici che presentano il massimo grado di diversificazione geografica, un’impresa su due gode di un buono stato di salute economico-finanziaria.

 

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