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I costi (alti) della sanità italiana

Oltre 12 milioni di italiani rinunciano alle cure per motivi economici, 1,8 milioni sono entrati nell'area della povertà a causa delle spese sanitarie private. Il rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute
di Redazione

Le persone che nell’ultimo anno hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche ammontano a 12,2 milioni, vale a dire 1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente per un incremento del 10,9%. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute, presentato mercoledì 7 giugno in occasione del Welfare Day 2017.

Nel 2016 la spesa sanitaria privata, si legga ancora nel rapporto, grava sulle spalle degli italiani per 35,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,2% in termini reali nel periodo 2013-2016 (un aumento maggiore della spesa totale delle famiglie per i consumi, pari a +3,4% nello stesso periodo): sono 13 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno sperimentato difficoltà economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie di tasca propria, 7,8 milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, 1,8 milioni sono entrati nell’area della povertà.

Per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica, la situazione può essere sintetizzata in questo modo: meno risorse pubbliche per la sanità rispetto al passato e rispetto agli altri paesi. La contrazione della spesa sanitaria pubblica italiana vale una riduzione del valore pro-capite dell’1,1% all’anno in termini reali dal 2009 al 2015 (stando alle osservazione della Corte dei Conti), mentre nello stesso periodo in Francia è aumentata dello 0,8% all’anno e in Germania del 2% annuo. L’incidenza rispetto al Pil della spesa sanitaria pubblica italiana è pari al 6,8%, in Francia si sale all’8,6% e in Germania si arriva al 9,4%.

Ma c’è un motivo per cui, spesso, gli italiani devono ricorrere di più al privato e pagare di tasca propria. Perché l’attesa per le prestazioni sanitarie nel servizio pubblico – spiega il rapporto Censis – è troppo lunga e spesso richiede anche l’esborso del ticket. Ad esempio, per una mammografia, si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (+18 giorni rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud.

Nonostante tutto il 64,5% degli italiani si dichiara soddisfatto del Servizio sanitario, mentre il 35,5% è insoddisfatto. Ma al Sud i soddisfatti sono solo il 47,3%, mentre sono il 60,4% al Centro, salgono al 76,4% al Nord-Ovest e arrivano all’80,9% al Nord-Est. Il 31,8% degli italiani è convinto che nell’ultimo anno il Servizio sanitario sia peggiorato, solo il 12,5% pensa che sia migliorato e il 55,7% ritiene che sia rimasto stabile.

(fonte: Censis)

 

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