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Investimenti: l’Italia ha perso attrattività

Secondo il Censis, l'indice che misura la capacità del sistema Italia di attrarre investimenti è sceso a 40,3 punti dai 47,8 del 2015
di Redazione

L’Italia ha perso un po’ di appeal agli occhi degli investitori esteri. O almeno è quanto emerge dall’ultimo studio realizzato dal Censis in collaborazione con l’Associazione italiana delle Banche Estere, dal quale emerge appunto un calo della capacità italiana di attrarre investimenti dall’estero.

In particolare, si legge in una nota del Censis, nel corso del 2016 l’Aibe Index – che misura l’attrattività del nostro Paese – è sceso a 40,3 punti ai 47,8 dell’anno precedente, riportando quindi una diminuzione di oltre sette punti. Secondo un sondaggio realizzato in occasione dell’analisi, mentre nel 2015 il 71,8% degli intervistati reputava l’Italia più attrattiva rispetto ai sei mesi precedenti, nelle ultime rilevazioni questo dato è sceso al 28%, con un aumento al 40% per chi ritiene di non notare particolari differenze rispetto ai mesi precedenti e al 32% di chi segnala invece una minore attrattività (le interviste sono state rivolte a vertici di imprese multinazionali, banche, e istituzioni finanziarie estere presenti sul territorio italiano).
Tra i fattori più destabilizzanti vengono segnalati l’instabilità politica, il carico fiscale, i tempi della giustizia civile e la burocrazia. Mentre a giocare a favore del nostro Paese sono fattori come la qualità delle risorse umane, il costo del lavoro, le infrastrutture e la logistica.
Secondo le ultime rilevazioni della società EY, nel 2016 gli investitori esteri che hanno deciso di puntare sul nostro Paese hanno aumentato i loro investimenti in Italia del 62% rispetto all’anno precedente. Cifre più dettagliate sono state invece diffuse da UHY – network internazionale di società di revisione, consulenza fiscale e sul lavoro – secondo cui nel 2015 gli IDE rappresentavano lo 0,7% del Pil, una quota piuttosto bassa se confrontata con quelle due principali Paesi europei: in Francia la quota è pari all’1,4%, in Spagna al 2,1%, nel Regno Unito all’1,8%, in Germania all’1,4%, mentre nell’Unione europea la media è del 2% del Pil.
Anche dal punto dell’impatto sul mercato del lavoro, il divario tra l’Italia e suoi principali partner è abbastanza ampio. Mentre nel nostro Paese – dati EY – gli 89 progetti finanziati dagli investimenti esteri diretti hanno creato 2.654 nuovi posti di lavoro nel corso del 2016 (+92% rispetto ai 1.383 del 2015), nel Regno Unito, ad esempio, i nuovi occupati legati ai 1114 progetti finanziati da IDE sono stati 43.165 (+2% rispetto al 2015).

 

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