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Gli americani e il calcio, quando lo sport è un’impresa

Investimenti che spesso esulano dai risultati sul campo, con l'obiettivo che le entrate aumentino rapidamente. La Premier League il campionato più preso d'assalto, ma anche la Serie A non scherza...
di Giacomo Buttaroni

Sogno americano: così lo possiamo definire quest’ultimo decennio del calcio europeo, dove imprenditori e magnati statunitensi stanno investendo per conquistare uno degli sport più seguiti al mondo. Basti pensare al percorso che ha fatto la famiglia Glazer con il Manchester United, portandolo ad un fatturato di 689 milioni l’anno e scalzando, dopo dieci anni, il Real Madrid dal primo posto dei club più ricchi. Un percorso lungo, costruito non solo attraverso le vittorie sul campo, ma soprattutto con la vendita del marchio e accordi redditizi come quello firmato alcuni anni fa con l’Adidas, per una somma superiore al miliardo di euro.

I Glazer sono proprietari anche dei Tampa Bay Bucaneers, squadra di football americano, che vanta un Super Bowl vinto e un valore che si aggira intorno agli 1,2 miliardi di dollari. Sulla stessa lunghezza d’onda il Fenway Sports Group, di John Henry e Tom Werner, che è proprietario del Liverpool e dei Red Sox di Boston, squadra che milita nella Major League di Baseball. Gruppi che vedono lo sport come un veicolo di incasso, non sempre presenti nelle vicende della squadra e che delegano ad un management all’altezza. Nel 2010 Henry rilevò il Liverpool con debiti pari a 300 milioni di euro, mentre nel 2017 il fatturato è quasi raddoppiato attestandosi a quota 403 milioni. Anche in questo caso i traguardi economici sono legati piuttosto all’ottima vendita del marchio e i Reds hanno la possibilità di crescere ancora dato che i proprietari americani hanno deciso di ampliare lo stadio di Anfield. In generale il volto della Premier League è cambiato molto negli ultimi anni: con la vendita dei diritti tv all’estero per un biennio, la Premier incassa 3,5 miliardi di euro e 6,5 miliardi per la trasmissione nel Regno Unito. Liverpool e Manchester United sono solo due dei tanti club con proprietà americana. La coppia Steve Kaplan-Jason Levien ha rilevato lo Swansea. Poi Shaid Khan, americano di origini pakistane, proprietario dei Jacksonville Jaguars in NFL, ha preso il Fulham. Ellis Short, proprietario del Sunderland, è l’unico proprietario americano a non avere altri interessi nello sport.
Uno stile americano, quello di costruire macchine da ricavi, che ritroviamo anche in Italia, in particolare con James Pallotta, che oltre ad essere proprietario della Roma è anche co-owner dei Boston Celtics, con i quali ha vinto un campionato NBA nel 2008. Il modo di pensare “all’americana” di Pallotta, però, sta trovando non poche difficoltà. Il suo obiettivo è costruire uno stadio di proprietà, il cui iter – avviato durante la precedente giunta Marino – ha incontrato diversi ostacoli finora. Ma non solo il club capitolino vanta un proprietario a stelle e strisce, anche il Bologna ha infatti un presidente americano: Joey Saputo, che ha investito nel calcio canadese fondando l’Impact di Montreal che attualmente milita in Major League Soccer. Insieme a Saputo era arrivato Joe Tacopina, che poi si è difilato per rilevare il Venezia, così come Mike Piazza che ha acquistato la Reggiana.
Investitori americani anche in Francia, all’Olympique Marsiglia, dove il proprietario è Frank McCourt, ex proprietario dei Los Angeles Dodgers, squadra della MLB, la cui vendita ha portato nelle sue casse 2,15 miliardi di dollari. Gli americani investono nel calcio. E confidano che le entrate raddoppino.

 

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