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Gli ultimi sviluppi dalla Catalogna

A poco più di una settimana dal giorno scelto dal governo catalano per la consultazione, cresce la tensione tra Madrid e il fronte indipendentista
di Mirko Spadoni

Mercoledì 20 settembre, la Guardia civile spagnola – un corpo della gendarmeria con funzioni di polizia militare – ha arrestato Josep Maria Jové, segretario generale del dipartimento dell’Economia del governo catalano. Ha eseguito anche diverse perquisizioni nei dipartimenti degli Interni, degli Esteri, dell’Economia e negli uffici della presidenza e del governo catalano.

Oltre a Jové, considerato il numero due di Oriol Junqueras, il vicepresidente della Catalogna e leader di un partito indipendentista, sono state arrestate oltre dieci persone legate al governo catalano. Perché lo ha fatto: un giudice ha incaricato la Guardia civile di verificare se l’organizzazione del referendum sull’indipendenza catalana, indetto per il 1° ottobre, stia proseguendo o meno, dopo la decisione della Corte costituzionale che lo ha dichiarato illegale. Andiamo con ordine, però.

La Generalitat de Catalunya ha indetto un referendum sull’indipendenza catalana per il 1° ottobre. Nelle intenzioni degli organizzatori non sarà necessario raggiungere un quorum e il risultato avrà un effetto vincolante: se vincerà il sì, la Catalogna sarà libera e indipendente, in caso contrario tutto resterà com’è. Tuttavia Madrid non ha nessuna intenzione di permettere lo svolgimento della consultazione: il governo ha così presentato un ricorso, poi accolto, alla Corte costituzionale contro il referendum. I giudici hanno invitato anche il governo e i 948 sindaci della Catalogna, che dovranno allestire i seggi, a rinunciare alla consultazione, minacciando sanzioni penali. Noncurante di tutto, il Parlamento catalano non ha fatto attendere la sua contromossa: poche ore dopo la decisione della Consulta, la Generalitat ha approvato una legge che regola il processo di secessione, in caso di vittoria del Sì al referendum, la Ley de Transitoriedad Jurídica y Fundacional de la República, bocciata a sua volta dalla Corte costituzionale, il 14 settembre. E poi gli arresti e le perquisizioni.

Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha difeso apertamente l’operato della magistratura e della Guardia civile, sottolineando che “non c’è nessuno Stato democratico al mondo che accetti quello che stanno facendo queste persone”. “Erano state avvisate, sapevano che il referendum non poteva essere celebrato perché si tratta di liquidare la sovranità nazionale e il diritto che hanno tutti gli spagnoli di decidere cosa vogliono per il loro paese”, ha proseguito. Ancora una volta, il primo ministro ha invitato le autorità catalane a rinunciare alla consultazione. Cosa che il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, non ha intenzione di fare: in una riunione convocata d’emergenza dopo gli arresti, ha annunciato che il referendum si terrà lo stesso. Il fronte indipendentista ha poche possibilità di vittoria: un sondaggio, condotto alla fine di luglio e citato dal Guardian, rileva che il 49,4% dei catalani è contrario all’indipendenza contro il 41,1% dei favorevoli.

Nei giorni scorsi il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha chiarito quali potrebbero essere le conseguenze a livello europeo, qualora dovesse vincere il Sì. Ha spiegato che, in caso di indipendenza dalla Spagna, la Catalogna non entrerà automaticamente tra gli Stati membri dell’Unione europea, ma dovrà farne richiesta. Salvo poi specificare che Bruxelles accetterà il risultato di un eventuale referendum, solo se verrà approvato anche dal Parlamento spagnolo.

 

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