Referendum autonomia, gli obiettivi di Lombardia e Veneto
Domenica si voterà in Lombardia e in Veneto per il referendum consultivo, promosso dai presidenti di Regione, Roberto Maroni e Luca Zaia (entrambi della Lega Nord), riguardante la procedura di richiesta di maggiore autonomia nella gestione delle proprie risorse, nel rispetto del dettato costituzionale. Quest’ultima è una precisazione doverosa, perché la consultazione è assolutamente legale e non ha nulla a che vedere con le pretese indipendentiste della Catalogna cui qualcuno ha fatto invece riferimento nelle settimane di campagna elettorale.
Oltre quelle a statuto speciale, infatti, al terzo comma dell’Art. 116 della Costituzione (introdotto con la riforma del Titolo V) si afferma che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentito gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119» (che sancisce l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa). Se domenica dovessero vincere i “sì”, Lombardia e Veneto non si trasformerebbero in regioni a statuto speciale: per quello è necessario modificare la Costituzione. L’obiettivo dei presidenti di Lombardia e Veneto è ottenere un mandato popolare “forte” per poi avviare la procedura di richiesta di maggiore autonomia. Una legittimazione politica, insomma, in vista di una possibile trattativa con il governo. Per questo motivo un’affluenza bassa (ci si potrà recare alle urne dalle 7 alle 23 e in Lombardia, per la prima volta in Italia, si sperimenterà il voto elettronico) potrebbe significare un ridimensionamento della questione, sebbene il referendum sia di tipo consultivo e quello che conta è soprattutto la vittoria del “sì” o del “no”. In Lombardia, Maroni ha fissato la soglia utile per decretare il successo del referendum al 34%, che fu raggiunta nel 2001 per la riforma del Titolo V. Diverso il discorso per il Veneto, dove servirà la partecipazione della metà più uno per validare la consultazione popolare. Come si è arrivati a questo punto? Prendiamo il caso della Lombardia: il residuo fiscale (la differenza tra le tasse pagate allo Stato dai cittadini lombardi e quanto lo Stato restituisce sul territorio regionale) ammonta a 54 miliardi di euro l’anno, il più alto in Italia, seguito da Emilia Romagna (19 miliardi) e Veneto (15 miliardi). Con l’esito positivo del referendum, “la Regione si propone di trattenere almeno la metà del residuo fiscale (27 miliardi) per finanziare le nuove competenze oggetto di trattativa con il governo”. In generale il referendum di Lombardia e Veneto ha raccolto consensi trasversali (si pensi in Lombardia al “sì” dei sindaci di Milano e Bergamo, Beppe Sala e Giorgio Gori, con quest’ultimo che sfiderà tra qualche mese proprio Maroni alla guida della Regione), le critiche da parte di alcuni esponenti del Pd hanno riguardato piuttosto i costi previsti per la consultazione, non ritenuta necessaria. Il precedente citato è proprio quello dell’Emilia Romagna: la regione sta avviando le trattative con il governo per la maggiore autonomia, ma senza passare per la via referendaria.