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Ricerca e Sviluppo in Italia, sale la spesa

Ma solo il settore privato ha aumentato gli investimenti in R&S: per le imprese si registra un +4,4% e per le istituzioni non profit un +6,8%. -1,7% per le istituzioni pubbliche e -2,8% per le università
di Redazione

Nonostante tra il 2014 ed il 2015 la spesa italiana in Ricerca e Sviluppo sia aumentata dell’1,7% in termini nominali e dello 0,9% in termini reali, l’incidenza percentuale sul Pil rimane ancora piuttosto bassa: l’1,34% (di cui l’8,3% è legato a investimenti da parte di attori stranieri), invariata rispetto all’anno precedente. Per il calcolo l’Istituto nazionale di statistica ha preso in considerazione sia la spesa sostenuta nel nostro Paese dal settore privato (imprese e imprese non profit), sia quella sostenuta dalle istituzioni pubbliche, che quella delle università.

Dall’analisi emerge che, nel periodo considerato, solo il settore privato ha aumentato gli investimenti in Ricerca e Sviluppo. Per le imprese si registra infatti un +4,4% e per le istituzioni non profit un +6,8%, a fronte del calo dell’1,7% che ha interessato la spesa delle istituzioni pubbliche e la diminuzione pari a 2,8 punti percentuali della spesa delle università. Nel 2015 si è rilevato un aumento significativo del personale impegnato in attività di ricerca, +3,9% (a 259.167 unità), legato soprattutto al +7,1% che ha riguardato le istituzioni private non profit e al +5,8% rilevato nelle imprese. Aumenti hanno comunque interessati anche università (+2,2%) e istituzioni pubbliche (+0,4%). Da sottolineare come oltre un terzo degli occupati del settore sia di sesso femminile. In crescita, del 3,7%, anche il numero di ricercatori impegnati nella Ricerca e Sviluppo, arrivati a rappresentare il 48,6% del totale degli addetti del settore. Un aumento che in termini di unità equivalenti a tempo pieno risulta ancora più marcato: +6,5% (gli aumenti maggiori si registrano nelle imprese, con un +13,9%, e nelle istituzioni non profit,+7,0%).

Rispetto al 2014, le attività di sviluppo sperimentale (che l’Istat definisce quale “lavoro sistematico basato sulle conoscenze esistenti acquisite attraverso la ricerca e l’esperienza pratica, condotto al fine di completare, sviluppare o migliorare materiali, prodotti e processi produttivi, sistemi e servizi) e la ricerca di base (“lavoro sperimentale o teorico intrapreso principalmente per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti dei fenomeni e dei fatti osservabili, non finalizzato ad una specifica applicazione o utilizzazione”) registrano un incremento di spesa (rispettivamente +7,9% e +2,6%), mentre per la ricerca applicata (“lavoro originale intrapreso al fine di acquisire nuove conoscenze e finalizzato anche e principalmente ad una pratica e specifica applicazione”) si osserva una diminuzione (-2,4%).

Per quest’ultima componente la spesa ammonta a 10 miliardi di euro nel 2015 (45,4% della spesa complessiva), seguono le attività di sviluppo sperimentale (6,7 miliardi di euro, 30,2% del totale) e, infine, la ricerca di base (circa 5,4 miliardi di euro, 24,4%). A livello settoriale, si osserva una chiara differenziazione, afferma l’Istat: le imprese puntano prevalentemente alle attività di ricerca applicata e sviluppo sperimentale e soltanto per una piccola quota (9,8%) alla ricerca di base. Al contrario, risulta contenuta la spesa per lo sviluppo sperimentale delle istituzioni pubbliche (7,2%) e delle istituzioni non profit (3,9%) mentre la ricerca di base, con il 56,1%, rappresenta la voce principale della spesa delle università.

 

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