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Perché cresce «l’Italia del rancore»

La ripresa c'è e l'industria va, afferma il Censis. Ma il blocco della mobilità sociale crea nuovi disagi
di Redazione

Il 51° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese apre con una nota positiva: la ripresa c’è ed è trainata soprattutto dal settore industriale che nel primo semestre del 2017 mostra un incremento del 2,3% della produzione, che sale al 4,1% nel terzo trimestre dell’anno. Il dato relativo al primo trimestre è il migliore tra i maggiori Paesi europei, l’Italia fa così meglio di Germania e Spagna che registrano un incremento del 2,1%, e di Regno Unito e Francia, la cui produzione industriale è in crescita rispettivamente dell’1,9% e 1,3%. Oltre alla produzione aumenta anche la produttività per ogni addetto nel settore manifatturiero, che supera la produttività nei servizi, registrando in sette anni un aumento del 22,1%, probabilmente anche alla maggiore meccanizzazione delle attività che agevolano i processi di produzione. Alla crescita ha contribuito l’export, quello manifatturiero pesa per il 3,4% sul totale delle esportazioni mondiali (i materiali da costruzione in terracotta, 23,5%; il cuoio lavorato, 13,2%; i prodotti da forno, 12,2%; le calzature, mobili e macchinari, rispettivamente 8,1%, 6,8% e 6,4%, i prodotti che vanno per la maggiore). Negativi però gli investimenti pubblici, in diminuzione nel 2016 del 32,5% rispetto al 2006.

Insomma, i dati testimoniano la ripresa, ma non mancano le note stonate. E poco importa se tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro corrispondente al +4%. La ripresa economica non è stata uguale per tutte le fasce della popolazione, anzi ha accresciuto le differenze facendo emergere un malcontento generale. Secondo il rapporto del Censis, il blocco della mobilità sociale «crea rancore»: l’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti. Ed è una percezione che riguarda in generale tutte le età. Una condizione che interessa molto anche i giovani, con l’87,3% dei millennials che pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che ritiene al contrario sia molto facile il capitombolo in basso.
Da qui deriva una preoccupazione per le “distanze”: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il 14,1% una con una condizione economica più bassa. Le differenze sociali sono accentuate dalla polarizzazione dell’occupazione, come la definisce il Censis, ai danni di operai, artigiani che tra il 2011 e il 2016 diminuiscono dell’11% (del 3,9% gli impiegati). Tra coloro che hanno invece osservato un miglioramento, le professioni intellettuali crescono dell’11,4% e, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%). Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci (+11,4%) nella delivery economy. Come sottolinea il Censis «nella ricomposizione della piramide professionale aumentano dunque le distanze tra l’area non qualificata e il vertice».

 

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