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Disperdere il capitale umano, così l’abbandono scolastico in Italia

I dati sono in miglioramento, ma permangono differenze territoriali. E in alcune regioni resta molto lontano il raggiungimento dell'obiettivo europeo
di Redazione

Nonostante la campagna elettorale se ne sta parlando poco, anzi pochissimo. E pure essendo il lavoro uno dei temi considerati prioritari dai diversi eseponenti politici, nemmeno una parola viene spesa per la scuola. Che è il luogo dove si formano i futuri lavoratori, i leader di domani. Ne scriveva pochi giorni fa Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, rimarcando a quanto ammonta il costo dell’abbandono scolastico: 27,5 miliardi di euro.

Oltre ai dati riportati dal Corriere, altri numeri emersi in queste settimane possono tornare utili per capire la portata del fenomeno dell’abbandono scolastico. Sono quelli contenuti all’interno dell’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes, edizione 2018. Nel 2007 – si legge nel rapporto – il dato italiano relativo alla quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno prematuramente abbandonato gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione era pari al 19,5%, nel corso degli anni si è registrato un progressivo miglioramento e l’incidenza per il 2016 è del 13,8%. Si tratta, tuttavia, di una quota ancora oggi superiore all’obiettivo europeo che, secondo la strategia Europa 2020, mira a ottenere (tra le varie) una percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandona gli studi inferiore al 10% e una percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni con un titolo di studio di scuola superiore pari almeno al 40%.

Miglioramenti, sì, ma non distribuiti equamente a tutte le latitudini, con una presenza più massiccia di giovani che decidono di lasciare gli studi anzitempo nelle regioni meridionali. Certo, anche in questo caso è corretto sottolineare come le cose stiano andando meglio. Per rendere l’idea, prendendo a modello le stime nelle Isole: in Sicilia dal 30,6% nel 2004 di ELS (acronimo che sta per early school leavers, giovani tra i 18 e i 24 anni in possesso unicamente della licenza media) si passa al 25,8% nel 2013; in Sardegna dal 30,1% nel 2004 si passa al 24,7% nel 2013. In generale le regioni in cui si registra il dato più basso sono quelle del Nord e, al 2016, il contenimento degli abbandoni scolastici al di sotto del 10% è stato raggiunto con successo in Umbria, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e in Veneto. Restano parecchio indietro Sicilia e Sardegna, Campania, Puglia (che comunque dal 30,2% nel 2004 è passata al 19,9% nel 2013) e Calabria.

Cosa spinge un giovane ad abbandonare gli studi? Difficile a dirsi. L’Eurispes prova a rispondere così: «La dispersione scolastica rappresenta un problema complesso che necessita di un’analisi approfondita ed onnicomprensiva dei vari fattori e protagonisti in gioco. Bisogna spostare il focus dal singolo studente che […] fa parte di una rete di relazioni che vede coinvolti una pluralità di attori (famiglia, insegnanti, educatori, scuola e società) tutti chiamati ad una assunzione di responsabilità riguardo al problema». Più facile, in compenso, provare a immaginare quale sia l’attitudine degli studenti italiani rispetto ad alcune materie e agli insegnamenti che ricevono a scuola. Ancora una volta chiamiamo in causa il Rapporto Italia dell’Eurispes.

Se da un lato i giovani tra i 18 e 24 anni intervistati dall’istituto di ricerca si dicono in larga maggioranza contrari all’insegnamento del latino nelle scuole medie, il 57,4% esprime un giudizio analogo per quanto riguarda l’insegnamento della materia nei licei. Singole ore settimanali da introdurre nella scuola dell’obbligo su specifiche materie, nel nostro caso Principi di economia, vedono il giudizio positivo del 56,8% degli intervistati (la quota è però sul totale, non solo i 18-24enni presi in considerazione precedentemente). Emerge poi un 46% favorevole all’introduzione di un’ora settimanale di Educazione finanziaria, con picchi che salgono oltre il 50% tra i diplomati e i laureati. L’idea, insomma, seppure non esaustiva di quello che è un panorama tanto più vasto, è che i giovani (non necessariamente coloro che ancora frequentano la scuola dell’obbligo) preferiscano accedere a materie e insegnamenti che possano renderli migliori cittadini e accrescere le competenze spendibili, un domani neanche troppo lontano, in un mercato del lavoro sempre più tecnologico ed esigente.

 

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