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Dal mais Ogm al cibo bio, le abitudini alimentari degli italiani

Il mais Ogm non rappresenta un rischio per la salute umana, secondo uno studio della Scuola Superiore Sant'Anna e dell'Università di Pisa. Ma per Coldiretti gli italiani continuano a preferire gli alimenti tradizionali. Nel 2017 le vendite bio hanno superato nel complesso i 5 miliardi di euro
di Redazione

Il mais Ogm non rappresenta un rischio per la salute umana. Secondo uno studio della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa, pubblicato su Scientific Reports, «non c’è alcuna evidenza di rischio per la salute umana, animale o ambientale dal mais transgenico».

Lo studio ha analizzato i dati sulle colture dal 1996 al 2016, in Asia, Africa, Australia, Europa, Stati Uniti e Sud America, ed è basato su 11.699 osservazioni, contenute in articoli scientifici. Osservazioni «che riguardano le produzioni» di mais transgenico, «la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l’effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di anidride carbonica dal suolo».

Cosa è emerso? È emerso che le colture di mais transgenico hanno una resa superiore, aiutano a ridurre gli insetti che danneggiano i raccolti e si caratterizzano per percentuali inferiori di contaminanti pericolosi – lo studio cita le micotossine e le fumonisine, in particolare – negli alimenti. Di qui, l’affermazione: il mais transgenico non è rischioso per la salute umana e animale, né tantomeno per l’ambiente.

Al di là di cosa dice lo studio realizzato dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dall’Università di Pisa, gli italiani non sembrano ancora fidarsi dei prodotti Ogm: un report condotto da Coldiretti/Ixè rivela che il 69% degli italiani considera gli alimenti con organismi geneticamente modificati meno salutari di quelli tradizionali. La percentuale cresce fino a toccare l’81% tra quanti dichiarano che non consumerebbero mai carne e latte provenienti da animali clonati o modificati geneticamente.

Gli italiani e le abitudini alimentari. Negli ultimi anni in Italia si è assistito ad un aumento delle persone che decidono di adottare diete di tipo vegetariano o vegano. A differenza di quanto si possa credere, però, le quote di coloro che si dichiarano vegetariani o vegani non sono altissime. Anzi, tra i vegani – secondo l’Eurispes – dal 3% del 2017 si scende allo 0,9% di quest’anno. Al contrario i vegetariani sono in aumento, al 6,2%. Tuttavia l’andamento di chi si dice favorevole a questo regime alimentare è risultato piuttosto altalenante negli ultimi cinque anni: erano il 6,5% nel 2014, il 5,7% nel 2015, il 7% nel 2016 e il 4,6% l’anno scorso.

In generale – considerando perciò una platea più vasta – i cibi di tipo bio hanno riscosso (e riscuotono) particolare successo, confermandosi un segmento fondamentale per il settore agroalimentare. In Italia, infatti – informa ancora l’Eurispes –, le superfici coltivate con metodo biologico hanno raggiunto all’inizio del 2017 quota 1.796.363 ettari, «che si traducono in una crescita del 20,4% rispetto all’anno precedente». In termini assoluti, spiega l’istituto di ricerca, nell’ultimo anno sono stati convertiti in biologico oltre 300 mila ettari. I principali orientamenti produttivi riguardano le colture foraggere, i pascoli e i cereali. Nello specifico le categorie ortaggi (+48,9%), cereali (+32,6%), vite da vino (+23,4%) e olio d’olivo (+23,5%) sono quelle che hanno registrato incrementi non indifferenti. Secondo le stime di Nomisma nel 2017 le vendite di prodotti biologici sono valse 3,5 miliardi di euro nel mercato italiano (un aumento del 15% rispetto al 2016). A questo dato va poi aggiunto l’export, che vale quasi due miliardi e pesa per il 5% sul totale delle esportazioni agroalimentari. Nel complesso le vendite di prodotti bio hanno superato l’anno scorso i cinque miliardi di euro, +9% sul 2016.

 

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