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Verso le elezioni. La “flat tax”: perché no

In vista delle elezioni del 4 marzo, T-Mag ospita i contributi di esperti ed economisti sul tema della "flat tax", uno dei principali punti programmatici della coalizione di centrodestra. Per il "no", che trovate in questa pagina, interviene Fulvio Fammoni. Per il "sì" (link in basso) Emanuele Canegrati
di Fulvio Fammoni*

Durante la campagna elettorale, assieme alla proposizione di condoni e sanatorie, una delle proposte più ricorrenti riguarda la cosiddetta flat tax. La proposta si basa su un assunto difficilmente dimostrabile. Se nessuno può negare che questo meccanismo abbasserà l’introito fiscale futuro (di quanto lo stabilirà la percentuale di prelievo), i proponenti affermano che sarà compensato da una emersione di gettito finora evaso. Francamente dubito che il risultato sarà questo. Meno del nero non costa niente, e allora perché emergere (in modo totale o parziale) se non si intravede un inasprimento del contrasto all’evasione e invece si moltiplicano le profferte di condoni futuri?

Ma entrando nel merito, la nostra Costituzione all’art. 53 prevede un principio di progressività fiscale, cioè una redistribuzione in base al reddito che affronti sia problemi di equità che di eguaglianza. Le risorse del fisco –infatti- sono necessarie all’attuazione di molti diritti in particolare di carattere sociale, un calo di gettito andrebbe quindi a scapito dei più deboli. Va anche ricordato che nel corso dei decenni l’Irpef, per lo scaglione più basso è aumentata di circa 13 punti, mentre per lo scaglione più alto è calata di circa 29 punti, e quindi già c’è stato un aggravio per i più poveri.
L’aliquota più alta di chi propone attualmente la flat tax varia oggi fra il 23% e il 25%, è chiaro quindi a chi andrebbero i vantaggi di una simile operazione. Peraltro, laddove già esistono meccanismi Flat, come nelle imposte indirette, l’evasione è altissima (IVA), altre tasse non hanno caratteristiche di progressività, ad esempio è aumentato il prelievo decentrato tramite le addizionali regionali e comunali. L’Italia, paese anche di grandi patrimoni, non ha una vera e propria imposta di carattere patrimoniale e in realtà l’Irpef è ormai diventata una sorta di imposta su lavoro dipendente e pensioni (la grande maggioranza dei redditi dichiarati ai fini Irpef), quelli per niente o ben poco avvantaggiati dai meccanismi della flat tax. La No Tax Area, è legata alla determinazione della capacità contributiva, sotto quella soglia si prevede che i cittadini non abbiano questa capacità. Oggi invece, si affiancano a questo concetto meccanismi di evasione e di elusione che hanno lo stesso effetto, riguardano una parte ben diversa della popolazione e costringono le persone oneste a farsi carico dell’ammanco del gettito fiscale.
Non è accettabile – dunque – una generica affermazione di riduzione delle tasse. L’aliquota di tassazione deve essere correlata all’effettiva capacità contributiva e alla salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone e anche per questo deve risultare progressivamente crescente. Si può discutere sui meccanismi della progressione ma non sul principio. L’articolo costituzionale non è un’eventualità, è un obbligo per il legislatore.

* Presidente della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

Leggi anche:
Verso le elezioni. La “flat tax”: perché sì

 

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