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Dove avviene la radicalizzazione

Alcuni degli ultimi casi di cronaca ci ricordano che l’Italia non è immune a eventuali minacce terroristiche, che vanno scongiurate anche prevenendo la radicalizzazione
di Mirko Spadoni

Atef Mathlouthi – cittadino tunisino, di 41 anni – nega ogni accusa. Ieri la sua foto segnaletica è stata diffusa a tutti gli uffici investigativi e alle pattuglie: l’uomo è stato segnalato, perché in una lettera anonima inviata all’ambasciata italiana a Tunisi veniva accusato di voler organizzare possibili attentati a Roma. Secondo le autorità, dunque, Mathlouthi potrebbe essere un jihadista. In attesa di ulteriori riscontri – spetterà all’autorità giudiziaria appurare i fatti –, questo episodio ci ricorda una cosa.

Le organizzazioni terroristiche o i lupi solitari, termine con il quale si indicano i terroristi non legati a gruppi organizzati, non hanno condotto attentati in Italia, a differenza di quanto accaduto, ad esempio, in Francia, Belgio, Regno Unito e Spagna. Questo non rende comunque il nostro Paese immune a eventuali minacce – in diverse occasioni, infatti, il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha ricordato che il «rischio zero» non esiste –, minacce che potrebbero diventare ancora più concrete senza un’adeguata prevenzione al fenomeno della radicalizzazione.

Dove avviene la radicalizzazione? Secondo Il Jihadismo autoctono in Italia, un rapporto curato dall’ISPI, la nascente scena jihadista italiana ha pochi contatti con le moschee. «In cattivi rapporti con la maggior parte delle moschee e delle organizzazioni islamiche italiane, schivati dai network jihadisti tradizionali e operando come attori solitari o piccoli nuclei sparsi sul territorio nazionale, gli attivisti autoctoni italiani hanno creato una propria scena prevalentemente su internet», si legge ancora nel report.

La radicalizzazione può avvenire anche altrove, però. In carcere, ad esempio. Diversi sono i casi di persone arrestate per reati comuni (spaccio, rapina…) e che, una volta in carcere, sono venuti a contatto con soggetti già radicalizzati, subendone il carisma. Nell’ultima Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, curata dai servizi di intelligence italiani, gli istituti carcerari vengono definiti «fertile terreno di coltura per il “virus” jihadista, diffuso da estremisti in stato di detenzione».

Secondo un recente rapporto del ministero della Giustizia, attualmente i soggetti detenuti in Italia per crimini legati al terrorismo internazionale sono 45 e sono ospitati in alcune sezioni speciali nelle prigioni di Benevento, Brindisi, Lecce, Nuoro, Sassari, Tolmezzo, Torino, Rossano e nel carcere romano di Rebibbia. I detenuti a rischio radicalizzazione, invece, sono 375 e circa 170 sono sottoposti a controlli specifici e vengono monitorati costantemente dalla polizia. Si tratta di numeri molto modesti – specie considerando la popolazione carceraria complessiva (54.731 detenuti) e quanti provengono da Paesi a maggioranza musulmana (11.029) –, ma che vanno comunque tenuti in considerazione. Nel 2017 sono stati espulsi 107 soggetti perché considerati una minaccia alla sicurezza nazionale.

 

1 Commento per “Dove avviene la radicalizzazione”

  1. […] i detenuti – nel 2017 ne sono stati registrati 52, sette in più del 2016 – e il fenomeno del radicalismo islamico: diversi sono i casi di persone arrestate per reati comuni e che, una volta detenute, sono venuti a […]

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