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La Cina tende la mano agli investitori stranieri

L'apertura di Xi Jinping è sintomatica di una condizione (una possibile guerra commerciale) che non recherebbe vantaggio ad alcuno degli attori coinvolti? E come reagiranno, adesso, gli Stati Uniti?
di Redazione

Il presidente cinese Xi Jinping tende la mano agli investitori stranieri, in un contesto di “guerra commerciale” con gli Stati Uniti altrimenti allarmante. Nello specifico, parlando al Forum di Boao (la Davos dell’Asia), il presidente cinese ha annunciato che Pechino allenterà i limiti agli investitori stranieri nel settore dell’auto e taglierà i dazi all’import di veicoli. Inoltre la Cina prevede una maggiore apertura ai capitali stranieri nel settore dei servizi finanziari e una migliore protezione della proprietà intellettuale. Queste riforme Xi vorrebbe attuarle in tempi rapidi, anche per consolidare il “nuovo” ruolo della Cina nel mondo. C’è da osservare, tuttavia, che le misure erano state ventilate già lo scorso anno. L’idea è che ora trovino presto forma. Sarà adesso curioso vedere in che modo gli Stati Uniti risponderanno, considerata la diffidenza che di norma non nasconde nei confronti di Pechino. Anche se l’inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, ha affermato pochi giorni fa in un tweet che lui e Xi saranno sempre «amici»: «La Cina abbasserà le sue barriere commerciali perché è la cosa giusta da fare». Le parole del presidente cinese fanno dunque ben sperare. Che sia effettivamente questa la strada intrapresa da Pechino?

Messa così, verrebbe da pensare che Washington ha “vinto” la sua battaglia dei dazi. Tuttavia è ancora presto per dirlo e a tale proposito si rendono opportuni alcuni passi indietro. Va infatti ricordato che nel 2001 fu concesso a Pechino l’ingresso nell’Organizzazione mondiale del Commercio allo scopo (anche) di mantenere un controllo sulle sue pratiche poco ortodosse, tuttavia proseguite ancora in seguito mentre oggi presentato una denuncia, alla stessa World Trade Organization, contro i dazi americani su acciaio e alluminio. La Cina, non a caso, ha proseguito a crescere in maniera costante a fronte di un rallentamento che pure si è verificato negli ultimi anni, in parte dovuto alla crisi economica internazionale e in parte alla volontà – in qualche modo dettata proprio dalla crisi – di sperimentare un nuovo modello economico, tentando così di spostare la “dipendenza” del Paese dalle esportazioni ai consumi interni, senza dimenticare i “nuovi” settori di sviluppo (servizi finanziari online ed e-commerce, ad esempio), nonché un maggiore rispetto per l’ambiente. Nel 2017 la crescita della Cina si è attestata poco sotto il 7%, su livelli migliori del 2016 quando si registrò il dato meno brillante in più di 25 anni e sopra il target annuale (che, come quest’anno, era fissato al 6,5%). Anche le esportazioni hanno ripreso a correre. Tutto si colloca nella visione di Xi Jinping, potenziato ulteriormente dopo le recenti riforme costituzionali – su tutte l’eliminazione del vincolo del doppio mandato per il presidente e per il vicepresidente, introdotto nel 1982 -, ovvero una Cina quale riconosciuta potenza globale. Ecco che allora, alla luce delle “concessioni” di Pechino, che la palla passa a Trump. Che la Cina non intenda intraprendere una vera e propria disputa commerciale potrebbe essere dimostrato dall’ulteriore sostegno, per così dire, nel tentativo di risolvere la crisi nordcoreana. La visita a sorpresa di Kim Jong-un a Pechino di poche settimane fa è stata prontamente riferita alla Casa Bianca e in queste ore la Cina ha deciso di bloccare l’export verso la Corea del Nord di 32 beni caratterizzati dal “doppio uso”, civile e militare, tipo equipaggiamenti, software e tecnologie varie. Un ulteriore passo che potrebbe consolidare l’amicizia con l’America, di cui Trump ha twittato pochi giorni fa, nonostante le (ataviche) divergenze sul commercio.

 

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