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Expat: chi sono e come cambiano negli anni

L’identikit di chi decide di trasferirsi in un altro paese per lavoro non è più lo stesso di 20 anni fa. Di solito sono giovani in cerca del primo impiego, ma sempre più spesso anche donne in carriera
di Silvia Capone

Il mondo sembra ormai privo di limiti e confini e ci mette nella condizione di pensare che un paese non sia troppo lontano dal nostro. La possibilità di spostarsi all’estero per lavoro, anche se spesso diventa una necessità, non sembra infatti essere un problema per i Millennials – il 61% si dice disposto ad espatriare per lavoro (indagine Unige, 2016) -, né tantomeno per gli appartenenti alla Generazione Z – i nati dopo il 1995 -, per i quali andare via quando si presenta l’occasione è considerata una cosa naturale.

Ecco perché cambia l’identikit di chi decide di trasferirsi in un altro paese per lavoro: se fino a vent’anni fa corrispondeva all’uomo di mezza età con moglie e figli che riceveva un importante compenso come risarcimento per la prolungata trasferta, oltre che notevoli benefit, adesso meno della metà degli expat sembra rispettare quest’archetipo. In particolar modo secondo il sondaggio Expat Insider, il 72% degli italiani residenti all’estero dichiara di aver lasciato il paese per guadagnare di più e avere maggiore stabilità politica ed economica. Allo stesso tempo, il 33% delle donne e il 25% degli uomini sostiene di guadagnare un reddito inferiore rispetto a quello che avrebbe in Italia con un lavoro simile, anche se si ritengono soddisfatti delle opportunità di carriera che il paese in cui vivono offre loro. Quindi le categorie che oggi si trasferiscono per lavoro sono giovani in cerca del primo impiego, ma sempre più spesso anche donne in carriera, che vanno a compensare il divario con gli uomini capofamiglia. Infatti, a fronte del 15% degli uomini che sono stati mandati all’estero dal datore di lavoro, si trova nella stessa situazione quasi la metà delle donne, il 7%.

Pur beneficiando di minori compensi e benefit rispetto a quelli riservati ai capifamiglia, le coppie che si trasferiscono per il lavoro della donna, sono poi più felici. A sostenerlo in una recente intervista a Vanity Fair è Yvonne McNulty, docente all’Università di Scienze Sociali di Singapore, secondo cui è possibile grazie alla maggior propensione all’organizzazione delle donne e soprattutto al fatto che esse includano nella decisione le intenzioni del partner. Ma a ciò si deve aggiungere un ulteriore aspetto, che pur essendo le principali fonti di reddito, le donne che lavorano all’estero continuano ad avere a carico le responsabilità domestiche e familiari, eludendo il difficile adattamento dell’uomo a queste mansioni.

 

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