In Italia la contraffazione costa 142 euro ad abitante
L’elevato ritorno economico sugli investimenti fatti, le pene inflitte troppo lievi e l’evoluzione dei canali distributivi, sempre più efficienti grazie alle tecnologie fanno sì che la contraffazione e la pirateria siano modelli imprenditoriali sempre più abbordabili per chi intende sfruttare il commercio in maniera criminale. A darne conferma ì l’ultima analisi dell’EUIPO, l’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, che tramite l’Osservatorio sulla violazione dei diritti sulla proprietà intellettuale ha fotografato la situazione odierna a livello europeo.
Ad oggi, secondo una serie di studi relativi a 13 settori, l’Unione europea perde annualmente 58,9 miliardi di euro di vendite. Di conseguenza, gli euro persi per abitante sono ben 116, mentre in termini di occupazionali l’Osservatorio stima un totale di 434.701 posti di lavoro persi. Tra quelli analizzati, il settore più danneggiato risulta essere quello dell’abbigliamento, con 23,2 miliardi di euro di vendite perse. A seguire lo studio cita il settore farmaceutico, con 15,953 miliardi; quello dei cosmetici, con 5,8 miliardi; quello degli smartphone, con 4,2 miliardi; e quello dei vini e degli alcolici in generale, con 2,7 miliardi.
Andamento simile, se non peggiore – anche se con cifre rapportate -, interessa l’Italia. Nel nostro Paese il valore delle vendite annuali non realizzate a causa della contraffazione è pari a 8,6 miliardi di euro, ben 142 euro per abitante. Il totale dei posti di lavoro persi è pari a 52.705 unità: quasi un decimo del dato europeo. Anche nel nostro caso i due settori più colpiti sono l’abbigliamento (con 3,1 miliardi di euro persi) e quello dei farmaci (con 2,2 miliardi). Segue il settore degli smartphone (885 miliardi), mentre al quarto posto ci sono i cosmetici (685 milioni) e al quinto le borsette (427 milioni).
C’è poi un interessante paradosso legato al mondo del falso. In molti casi i siti dedicati alla vendita di prodotti contraffatti, oltre ai ricavi derivanti dalle vendite illegali, vantano anche introiti pubblicitari e, inverosimilmente, spesso le inserzioni sono proprio di marchi “legittimi”, magari proprio gli stessi che su quel determinato sito vengono venduti in copia falsa, contribuendo quindi ad accrescere non solo le entrate del venditore, ma anche la credibilità.