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«Europa un nemico», dice Trump. Cosa può significare per l’Italia

Gli Stati Uniti si collocano al terzo posto tra i paesi partner. Secondo il gruppo Sace l'introduzione di nuovi dazi può provocare «un calo di quasi 2 punti percentuali rispetto alla crescita prevista per il 2018»
di Redazione

Nell’intervista che ha concesso alla Cbs prima dell’incontro con il leader russo Vladimir Putin a Helsinki, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito l’Europa «un nemico». Lo è dal punto di vista commerciale e la sua posizione non è una novità, soprattutto ni riguardi della Germania. In diverse occasioni Trump ha potuto, di recente, esprimere posizioni di questo tenore: al G7 in Canada e all’ultimo vertice Nato di Bruxelles, la scorsa settimana.

La guerra commerciale che l’amministrazione Trump ha avviato contro la Cina e negli ultimi tempi allargato ai paesi dell’UE, applicando dazi e tariffe ai prodotti importati, preoccupa l’Europa. Al punto che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha lanciato, di nuovo in queste ore, un appello in riferimento alle tensioni commerciali: «È comune dovere di UE, Cina, Usa e Russia non iniziare guerre commerciali». Una guerra commerciale avrebbe un peso notevole sull’Italia? A occhio e croce sì, anche alla luce delle stime del gruppo Sace. Molto più che l’export – nonostante il rallentamento registrato di recente – ha tenuto a galla l’economia italiana negli ultimi sette anni, gazie alla proiezione internazionale delle nostre imprese.

«Tra le cose che sappiamo di non sapere (known unknown) e che rappresentano una discreta fonte di incertezza – argomenta il Sace –, rientrano gli effetti del protezionismo, il cambio euro/dollaro e l’evoluzione delle catene globali del valore. L’introduzione di nuovi dazi e sanzioni e le sue conseguenze potranno pesare sulle performance future dell’export italiano verso il mondo; uno scenario di escalation di queste misure e di deterioramento della fiducia tra gli operatori provocherebbe un calo di quasi 2 punti percentuali rispetto alla crescita prevista per il 2018 e di ben 3,6 punti percentuali nel 2019, anno in cui l’export si manterrebbe positivo, ma solo dell’1,6%».

Per chiarire ulteriormente le cose e, soprattutto, inquadrare il momento storico, basti sapere che la quota dell’Italia sulle esportazioni mondiali – stavolta i dati sono dell’Istat e si riferiscono al 2017 – è diminuita in misura più accentuata in alcune aree geografiche, in particolare Africa Settentrionale (da 7,50% a 7,36%) e Asia Centrale (da 1,25% a 1,14%), mentre incrementi hanno riguardato America Settentrionale (da 1,83% a 1,91%) e America Centro-Meridionale (da 1,56% a 1,63%). Se Germania e Francia si confermano nel 2017 i principali mercati di sbocco delle vendite di merci, con quote pari, rispettivamente, al 12,5% e al 10,3% delle esportazioni nazionali, gli Stati Uniti si collocano al terzo posto tra i paesi partner, con una quota del 9% (poi seguono Spagna e Regno Unito, entrambi con il 5,2%. In soldoni, tra i principali paesi, i mercati di sbocco più dinamici nel 2017 osservati (cioè aumento della quota sulle esportazioni nazionali pari o superiore a 0,2 punti percentuali rispetto al 2016, spiega l’Istat) sono Cina, Stati Uniti e Russia.

 

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