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Economie in miglioramento, come si muovono adesso la Fed e la Bce?

La banca centrale statunitense sembra orientata a una graduale normalizzazione della politica monetaria, più prudente l'istituto di Francoforte
di Fabio Germani

Tregua sul fronte commerciale tra Washington e Bruxelles, risalita economica che – seppure in lieve rallentamento per l’Eurozona – si consolida, mercato del lavoro che continua a mostrare miglioramenti (soprattutto negli Stati Uniti), inflazione che comincia a stabilizzarsi sui target di riferimento. Insomma, quali mosse dobbiamo aspettarci da parte delle banche centrali in questa fase della ripresa?

Per rispondere alla domanda è in verità necessario osservare cosa hanno deciso, di recente, la Fed da un lato e la Bce dall’altro. L’economia americana sta attraversando un lungo periodo di espansione, con il Pil che è cresciuto nel secondo trimestre del 4,1% sull’anno (ai ritmi più veloci dal 2014). Il tasso di disoccupazione si attesta, ormai già da un po’, su valori attorno al 4%. Per il momento la Federal Reserve ha lasciato invariati i tassi d’interesse in una fascia tra l’1,75% e il 2%, ma ha riconosciuto i progressi dell’economia Usa (la spesa delle famiglie e gli investimenti delle imprese tra gli elementi che hanno contribuito alla crescita) per cui è possibile – in tempi ora più brevi – una graduale normalizzazione della politica monetaria, immaginando forse già a settembre un rialzo del costo del denaro. Questo, nonostante il presidente statunitense, Donald Trump, abbia espresso alla Fed qualche perplessità per non correre il rischio di compromettere i risultati, alla luce dei dati positivi. Ma questi ultimi sono anche alla base di preoccupazioni piuttosto contenute, da parte della Fed, in caso di una più aspra guerra commerciale con la Cina.

Che aria tira, invece, a Francoforte? Qui il raggio di azione è più definito. Entro dicembre la Bce metterà la parola fine sul quantitative easing, mentre i tassi resteranno invariati almeno per un altro anno. Secondo la stima preliminare dell’Eurostat, il Pil dell’Eurozona è aumentato nel secondo trimestre dello 0,3% e del 2,1% su base annua, in lieve rallentamento rispetto ai primi tre mesi del 2018. Nel primo trimestre, infatti, il Pil era cresciuto rispettivamente dello 0,4% e del 2,5%. I livelli occupazionali migliorano, anche se in modo disomogeneo tra i Paesi membri. L’inflazione raggiunge la soglia del 2%, obiettivo prefissato dalla Banca centrale europea per impedire che alcuni paesi siano costretti ad avere tassi troppo bassi se non negativi per controbilanciare quelli che presentano livelli decisamente più elevati. Tuttavia la Bce fa previsioni di medio periodo e valuta ancora troppo bassa l’inflazione di fondo (al netto, cioè, degli energetici e degli alimentari freschi, vale a dire le componenti più volatili). Inoltre l’istituto di Francoforte (che Mario Draghi lascerà nel 2019) prima di procedere a un’ulteriore normalizzazione della politica monetaria valuterà alcuni criteri, in definitiva già elencati. Innanzi tutto l’aumento dell’inflazione dovrà interessare tutti i paesi dell’Eurozona, non solo alcuni. In più il trend dei prezzi dovrà mostrarsi prossimo al target del 2% in maniera ferma, su un orizzonte di medio periodo, appunto, scongiurando così il pericolo deflazione. Solo che per sostenere la stabilità dei prezzi dovrà verificarsi una condizione fondamentale: la ripresa (duratura) dei consumi.

@fabiogermani

 

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