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Il caos Libia e le preoccupazioni dell’Italia

Gli scontri tra le milizie vicine a Khalifa Haftar e il governo di Tripoli stanno mettendo in apprensione la comunità internazionale. E l'Italia in particolare...
di Redazione

Il Consiglio presidenziale libico di Fayez al Sarraj ha dichiarato lo stato d’emergenza a Tripoli e nelle periferie della capitale, a causa dei violenti scontri di questi giorni tra la “Settima Brigata” del generale Khalifa Haftar, originaria di Tarhuna, e le truppe del governo nei quartieri meridionali della città. Nella nota l’esecutivo ha spiegato che la decisione è stata presa «per proteggere i cittadini e la sicurezza, gli impianti e le istituzioni vitali che richiedono tutte le necessarie misure militari e civili». Il bilancio delle vittime diffuso dal ministero della Salute libico è di 47 morti e 129 feriti in otto giorni, ha riferito in una nota la Missione dell’Onu in Libia, Unsmil. Secondo il governo di al Sarraj, gli scontri sono «un tentativo di far deragliare la transizione politica pacifica» nel Paese. La comunità internazionale (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Italia…) si è limitata a chiedere alle parti coinvolte di cessare immediatamente le ostilità.

Prima un passo indietro, però: dalla caduta di Gheddafi, la Libia è nel caos. Per farla breve, esistono due governi – quello guidato da Fayez al-Serraj riconosciuto dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale (compresa l’Italia) e quello del feldmaresciallo Khalifa Haftar con sede a Tobruk, nella parte est del Paese, sostenuto da Russia e Egitto – affiancati da decine di milizie che controllano de facto il territorio libico, vivendo di traffici illeciti (droga, armi ed essere umani). Come è stato possibile tutto ciò? Arturo Varvelli e Matteo Villa dell’ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, hanno provato a dare una spiegazione in una recente analisi.

«Le motivazioni sono complesse e risiedono in buona parte nella natura dell’identità multipla della Libia (regionalismi, localismi, tribalismi), nella progressiva polarizzazione politica seguita al fallimento delle primavere arabe (islamisti vs militari/nazionalisti), ma anche e soprattutto nel ruolo disgregante degli attori internazionali (europei compresi), ognuno dei quali ha cercato di favorire un gruppo interno a discapito dell’altro nel tentativo di avere influenza sul paese».

La situazione nel Paese libico è caotica ormai da tempo, dunque. Le violenze degli ultimi giorni, però, rappresentano un’escalation preoccupante. Specialmente per quei Paesi – l’Italia è tra questi – per i quali la stabilità politica della Libia è fondamentale: avere solo un interlocutore permetterebbe di controllare meglio i flussi migratori, ad esempio. Senza dimenticare l’importanza della Libia per l’approvvigionamento energetico del nostro Paese (vedi Eni).

Quali sono le conseguenze per l’Italia? Pur avendo ribadito il proprio sostegno al governo al Serraj, l’esecutivo italiano ha escluso «interventi militari che non risolvono nulla», ha spiegato il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini. Mentre le attività Eni in Libia si stanno svolgendo regolarmente. Ci sono infatti da considerare, più in generale, i rapporti economici e commerciali. Il Sole 24 Ore, di recente, scriveva di relazioni che si sono rafforzate nel corso del 2017: «L’interscambio è quasi arrivato a 4 miliardi, con una crescita del 34% rispetto al 2016, dovuto soprattutto alla ripresa dei flussi di greggio».

 

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