Le nuove regole sul diritto d’autore, una “rischiosa occasione” | T-Mag | il magazine di Tecnè

Le nuove regole sul diritto d’autore, una “rischiosa occasione”

Il Parlamento europeo ha approvato la controversa e tanto discussa direttiva sul copyright. Cosa significa e perché non tutti sono d'accordo
di Fabio Germani

La materia è complessa perché potrà riguardare diversi settori, dal giornalismo alla musica, passando per qualsiasi tipologia di contenuti diffusi online. Un contenuto condiviso su una piattaforma – che ciò avvenga su Facebook o su un aggregatore stile Google News è questione di poca importanza, la direttiva pone dei vincoli (e dei limiti) ai colossi del web in generale – non sarà più fine a se stesso, ma genererà un’entrata per gli editori, cioè i primi responsabili della diffusione di quel dato contenuto. Ora questa spiegazione è fin troppo elementare e non dice tutto. Ma è il motivo per cui la maggior parte degli editori oggi esulta per quella che è una base di partenza – approvata dal Parlamento europeo mercoledì – in tema di riforma sul rispetto del diritto d’autore. A livello comunitario le regole sul copyright erano ferme al 2001 e considerata l’evoluzione di Internet e dell’uso sfrenato che facciamo dei social media una revisione poteva effettivamente apparire quantomeno opportuna. Il rischio che si sta però correndo – è bene ricordare che siamo solo all’inizio di un percorso che vedrà impegnati nei diversi passaggi Parlamento europeo, Commissione e Consiglio – è di sprecare un’occasione, altrimenti preziosa.

Non possiamo, infatti, non contestualizzare quanto si sta decidendo sul diritto d’autore. Gli articoli più controversi della direttiva – lo avrete letto un po’ ovunque – sono l’11 e il 13. Il primo stabilisce che i singoli Stati UE devono assicurarsi che gli editori ricevano i “giusti” compensi dalle grandi piattaforme (Facebook e Google, ad esempio) per i contenuti ospitati e il vantaggio – economico – che da essi deriverebbe. Che è un po’ la sintesi della richiesta degli editori. Dall’altro lato, di conseguenza, non si può escludere un disimpegno da parte delle piattaforme che vedrebbero, in questo modo, sconveniente una fruizione massiva di un determinato contenuto. Anche perché – è, sintetizzando, la posizione delle grandi aziende online – gli editori già beneficiano delle condivisioni o segnalazioni di link esterni, in termini di visualizzazioni e soprattutto di traffico generato. Che tradotto brutalmente significa remunerato, a patto – ribattono gli editori – che gli utenti leggano l’articolo originale indicizzato da Google. In caso contrario a monetizzare è solo il motore di ricerca. Siccome i modelli di business online non sono ancora definitivi – nonostante i casi di successo oggi più evidenti di quanto non lo fossero soltanto dieci anni fa – viene spontaneo chiedersi se una tale procedura non sia dannosa per i piccoli editori (magazine o giornali online) già nell’immediato e per i grandi network – salvo accordi preventivi e fruttuosi per entrambe le parti con le piattaforme – nel lungo periodo. A questo punto dobbiamo pure considerare, nell’attuale fase del mondo informativo con lo sviluppo di una moltitudine di siti dediti alle fake news, che un freno poteva apparire ormai necessario, molto più che i social rappresentano l’ambiente “naturale” in cui prolificano le notizie false e tendenziose. Ma a scapito degli stessi editori, specialmente se di piccole dimensioni? Il pericolo è reale.

L’altra discussione riguarda l’articolo 13, appunto. È la più semplice da un lato, ma la più restrittiva dall’altro. In sostanza si prevede che le piattaforme blocchino la pubblicazione di contenuti protetti dal diritto d’autore in assenza delle opportune licenze e concessioni. I detrattori lo ritengono un potenziale stop alla libera circolazione di opere e di idee; i favorevoli (non a caso, nella fattispecie, soprattutto società dell’industria audiovisiva) la ritengono una misura utile a garantire, di accordo in accordo, un modello a maggiore tutela del copyright. Ma anche qui, il rischio di un pastrocchio è più di un’ipotesi. Alla luce dei fatti appare del tutto plausibile che siamo ancora all’inizio, che l’arte del compromesso servirà come il pane nei prossimi mesi al fine di evitare di scontentare una o tutte le parti in causa, fruitori compresi. La direttiva può essere ancora migliorata, sebbene quella approvata dal PE sia stata già modificata rispetto alla precedente stesura.

@fabiogermani

 

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