Famiglie: se l’incertezza frena i consumi
Le incertezze e le tensioni dei mercati che stiamo osservando in queste ore, dopo che il governo ha presentato la nota di aggiornamento al Def, dipendono da diversi fattori. Il primo di solito indicato è la mancanza di fiducia da parte degli investitori sulle stime di crescita dell’esecutivo (un aumento del Pil dell’1,5% nel 2019, dell’1,6% nel 2020 e dell’1,4% nel 2021). Se riflettiamo tutto ciò sull’economia reale, quello che possiamo osservare è un rallentamento che effettivamente si è verificato nel corso del 2018, testimoniato anche dall’andamento deludente nell’ultimo periodo di alcuni indici essenziali quali la produzione industriale – che per citare l’Istat caratterizza l’attuale fase ciclica – e i consumi, il cui recente recupero è poca cosa rispetto ai trend precedenti.
Ad agosto l’Istat ha registrato un aumento delle vendite al dettaglio sia su base mensile, sia in termini tendenziali. Un incremento positivo che, come ha ricordato Confesercenti in una recente analisi, ha interrotto il periodo (sette mesi) di flessioni negative. «La crescita agostana – avvertiva Confesercenti – non è sufficiente a invertire un 2018 decisamente povero per il commercio, soprattutto per i piccoli negozi, che nei primi otto mesi dell’anno segnano un calo dell’1,1% del valore delle vendite rispetto allo stesso periodo del 2017».
La situazione dei consumi resta complicata. Intanto anche il governo nella nota di aggiornamento al Def ammette il rischio rallentamento per quest’anno e per il prossimo, di fatto confermando che la domanda interna resta debole, ulteriore freno alla crescita economica. In più bisogna considerare il periodo che evidentemente non rassicura famiglie e consumatori. I dati Istat relativi al secondo trimestre 2018 mettono in luce un andamento che pare consolidarsi: pure al cospetto di un aumento del reddito disponibile i consumi restano sostanzialmente fermi, mentre cresce la propensione al risparmio. «La debolezza della spesa delle famiglie, che influisce negativamente sulla ripresa, sembra determinata, più che da un peggioramento delle condizioni economiche familiari, dall’incertezza sulle prospettive future del sistema Italia, con il conseguente incremento della propensione al risparmio», era stato il commento dell’Ufficio Studi Confcommercio.
Secondo Confesercenti, invece, sterilizzare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia per il solo 2019 non è una misura sufficiente per incentivare spesa e consumi. «La possibilità di aumenti nel 2020 e nel 2021 – la conclusione a cui giunge – agisce come un generatore di incertezza per consumatori e imprese che bisogna assolutamente disattivare».