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La Cina rallenta, ma non è tutta colpa della guerra dei dazi

Il Pil frena nel terzo trimestre a +6,5% annuo, tornando ai livelli del primo trimestre 2009
di Redazione

È stata una giornata particolare in Cina e la sconfitta subita dalla nazionale ad opera delle azzurre nella semifinale del mondiale di pallavolo che si sta disputando in Giappone c’entra davvero poco. Sono stati diffusi, infatti, i dati sulla crescita cinese: nel terzo trimestre il Pil frena a +6,5% annuo, tornando ai livelli del primo trimestre 2009 e sotto il +6,6% atteso dagli analisti e il +6,7% registrato nel periodo aprile-giugno. La notizia ha provocato uno scossone, con la Borsa di Shangai ai minimi e che ha ceduto da inizio gennaio circa il 25%.

Potrebbe esserci la guerra dei dazi con gli Stati Uniti alla base del rallentamento, uno scenario da tenere certamente in considerazione anche se non va dimenticata la complessità del gigante asiatico. Questa – in altre parole – può essere una delle spiegazioni, ma non l’unica. Le tensioni commerciali stanno riducendo, in generale, i ritmi di crescita, ma non ovunque e non alla stessa intensità. Secondo una recente analisi della Banca centrale europea, che simula – nel quadro di una vera e propria “guerra commerciale” – un aumento del 10% delle tariffe doganali su tutte le importazioni da parte degli Stati Uniti con i partner che rispondono con una misura di analoga entità lasciando invariati gli scambi tra di loro, a soffrire maggiormente della situazione sarebbero proprio gli Usa. Meno le altre economie, Cina in primis. C’è poi da considerare che a settembre Pechino ha registrato una notevole crescita dell’export (+13%), con un surplus commerciale di 31,69 miliardi contro i 27,38 miliardi di settembre 2017. Quindi? Quindi partiamo da altri due elementi, entrambi fondamentali. La produzione industriale – indicatore tra i più significativi di un’economia – ha segnato a settembre un rialzo annuo del 5,8%, in calo sia sul 6,1% del mese precedente sia sulle attese degli analisti di 6%. Si tratta del dato più debole da febbraio 2016, in gran parte dovuto al rallentamento della produzione manifatturiera.

Il secondo elemento da tenere sott’occhio è la domanda interna che si è mostrata debole, pur avendo trainato la fase espansiva nel primo trimestre del 2018. Alcuni anni fa Pechino decise di adottare misure per favorire i consumi interni, quasi un cambiamento di paradigma – una sorta di rallentamento controllato a fronte di un sistema che da sempre si regge soprattutto sulle esportazioni – che però procedeva a rilento. La diretta conseguenza di tale politica è stata la riduzione della crescita, con numerosi svantaggi anche per le aziende (in particolare quelle del lusso) che vendono in Cina. Mollata la presa, l’export ha ricominciato a correre.

Di recente parlando al Forum di Boao (la Davos dell’Asia), il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato che Pechino allenterà i limiti agli investitori stranieri nel settore dell’auto e taglierà i dazi all’import di veicoli. La Cina prevede anche una maggiore apertura ai capitali stranieri nel settore dei servizi finanziari e una migliore protezione della proprietà intellettuale. Un modo, per Xi, di consolidare il “nuovo” ruolo della Cina nel mondo. Nel 2017 la crescita della Cina si è attestata poco sotto il 7%, su livelli migliori del 2016 quando si registrò il dato meno brillante in più di 25 anni e sopra il target annuale (fissato, come quest’anno, al 6,5%). Tutto si può ricondurre nella visione di Xi Jinping, potenziato ulteriormente dopo le ultime riforme costituzionali – su tutte l’eliminazione del vincolo del doppio mandato per il presidente e per il vicepresidente, introdotto nel 1982 –, ovvero una Cina quale riconosciuta potenza globale. Ed è in tale contesto che si collocano le Nuove vie della Seta, un progetto lanciato alla fine del 2013, che permetteranno alla Cina di raggiungere almeno 70 paesi, che nel totale generano un terzo del Prodotto interno lordo mondiale, dove vive almeno il 70% della popolazione e che possiedono oltre il 75% delle riserve energetiche globali.

Attraverso questi canali la Cina vuole raggiungere i mercati europei, africani e dell’Asia centrale, via mare e via terra, diversificando le proprie rotte commerciali: una strategia che a maggior ragione adesso ha una sua validità, superando le attuali spinte protezionistiche degli Stati Uniti. Gli ingredienti per ritenere l’export l’ultimo dei problemi sembrano esserci. Piuttosto si guardi ai ritardi strutturali e all’enorme indebitamento di governi locali, imprese e famiglie.

 

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