Aumentano gli smart worker, ma non tutti ci credono | T-Mag | il magazine di Tecnè

Aumentano gli smart worker, ma non tutti ci credono

Si stima che i lavoratori dipendenti che possono usufruire di flessibilità e autonomia siano pari al 12,5% del totale degli occupati
di Silvia Capone

Secondo l’ultima edizione della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2018 gli smart worker – quei lavoratori dipendenti che possono usufruire di flessibilità e autonomia sul lavoro – sono in Italia 480 mila, corrispondenti al 12,5% del totale degli occupati e sono rappresentati nel 76% dei casi da uomini, appartenenti alla Generazione X, che scelgono l’opzione del lavoro agile soprattutto, il 46%, per evitare lo stress correlato agli spostamenti casa-lavoro.

I benefici legati alla possibilità di gestirsi autonomamente orari e sede di lavoro sono ormai noti e la ricerca conferma che gli smart worker si ritengono più soddisfatti dei lavoratori tradizionali sia per quel che riguarda l’organizzazione del lavoro, lo sostiene il 39% contro il 18%, sia nelle relazioni con i colleghi. La percentuale degli addetti che fanno ricorso allo smart working dipende molto dalla dimensione dell’azienda: è più diffuso nelle grandi imprese, tra queste una su due – il 56% – sostiene di adottare soluzioni che promuovono la flessibilità di luogo e di orario dei lavoratori, dato in aumento rispetto allo scorso anno in cui solo il 36% delle aziende permette il lavoro agile.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese la situazione è molto simile a quella rilevata nel 2017, con l’8% del campione che ha in tal senso progetti strutturati, mentre il 16% li ha informali. Rimane però alta la percentuale, il 38% di quelle che si dicono del tutto disinteressate all’introduzione del modello.

Il settore della pubblica amministrazione inizia a registrare i primi progetti, l’8% ha infatti avviato strutture che permettono lo smart working, ed un altro 8% prevede di farlo il prossimo anno. Le somme, ad un anno dall’introduzione della legge sul Lavoro Agile, rivelano però che questa abbia incentivato in misura maggiore gli enti pubblici: il 60% delle PA con progetti di lavoro agile ha dichiarato di essere stata stimolata dalla legge, a fronte del 17% delle grandi imprese private, la maggior parte delle quali avevano pensato di avviarlo prima che la normativa entrasse in vigore.

Le stime della società di ricerca Idc prevedono che in Italia nel 2022 gli smart worker arrivino a 10 milioni di unità e che, a livello europeo, essi rappresenteranno il 65% della forza lavoro. Per far sì che sia possibile il vero e proprio boom dello smart working che prevedono le stime, almeno nel nostro paese, è necessario un cambio culturale ed è proprio per la mentalità, sia di lavoratori che delle imprese, che il lavoro agile è ancora poco diffuso.

Gli italiani (lavoratori e imprenditori) sono ancora troppo legati al luogo ufficio e alla rigidità degli orari. Basti pensare che, secondo l’osservatorio, il modello di smart working più diffuso tra le grandi imprese prevede la sola possibilità di lavorare da remoto. Lo smart working invece prevede una diversa concezione del modo di lavorare, in cui il parametro di valutazione non è più sul tempo, ma sui risultati.
A confermare che le reticenze in Italia siano solo di natura culturale, uno studio della Randstad Workmonitor, sostiene che, seppur otto italiani su 10 apprezzano lo smart working, il 62% dei dipendenti – contro una media globale del 56% – afferma che il proprio contesto lavorativo offre tutti gli strumenti necessari per poter lavorare al di fuori dell’ufficio e il 65% dichiara di avere la libertà di poter organizzare le priorità del proprio lavoro, ma solo il 41% dei lavoratori utilizza con regolarità strumenti per organizzare riunioni online.

A frenare la diffusione dello smart working sono quindi da una parte le imprese che troppo spesso vogliono “controllare” i propri lavoratori, dall’altra i lavoratori stessi poiché uno su due pensa che il lavoro agile possa avere ripercussioni negative sulla sua vita privata e soprattutto che rappresenti il passaggio precedente al licenziamento. Dalla ricerca emerge infine un dato che connota quanto poco in Italia si sia capito lo smart working e che forse spiega anche la sua limitata diffusione: il 70% di coloro che sono favorevoli al lavoro agile svolgono mansioni che non prevedono questa possibilità smart, mentre i lavoratori che ne potrebbero usufruirne per tipo di compito, preferiscono ancora le riunioni in ufficio.

GALASSIA LAVORO

 

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