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Brexit: quanto è costata al Regno Unito, fino ad ora

Lo ha calcolato l’agenzia Standard & Poor’s in termini di minor ricchezza generata dall’economia britannica

di Redazione

La Camera dei Comuni ha approvato ieri a tarda notte – i voti favorevoli sono stati 313, quelli contrari 312 con una maggioranza trasversale al governo – ad una legge che nei fatti vieta la possibilità di no deal, ovvero un’uscita dall’Unione europea senza accordo. Una misura che dunque obbliga il governo di Theresa May a mantenere fede a quanto peraltro già promesso, una nuova richiesta di proroga, anche “lunga” se necessario (si parla di 2020). Il che implicherebbe, nel caso in cui l’Unione la concedesse, la partecipazione del Regno Unito alle prossime elezioni europee, in programma il 26 maggio. La prospettiva di uno slittamento prolungato apre a qualsiasi scenario, dal secondo referendum (comunque al momento improbabile) al voto anticipato, che potrebbe consegnare una maggioranza diversa in grado di negoziare un nuovo accordo con Bruxelles. L’ipotesi di un’estensione al 22 maggio – quella che inizialmente May sembrava intenzionata a richiedere – era stata ieri respinta dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Intanto c’è chi ha quantificato il costo della Brexit sull’economia del Regno Unito.

L’agenzia Standard & Poor’s ha stimato che la Brexit è costata 66 miliardi di sterline in termini di minor ricchezza generata dall’economia del Regno Unito. Se il referendum del giugno 2016 non ci fosse stato, il Prodotto interno lordo avrebbe potuto essere superiore del 2,9% rispetto agli attuali livelli. Diversi sono stati i fattori che hanno avuto un impatto negativo sulla crescita dell’economia britannica. Dalla svalutazione della sterlina e il conseguente incremento dell’inflazione.

Dopo il referendum la sterlina ha perso fino al 18% del suo valore iniziale. Un crollo che ha generato un aumento dei prezzi: secondo le stime di S&P’s, nei dieci trimestri successivi al voto che ha sancito il divorzio dall’UE, l’inflazione è stata superiore di un punto percentuale rispetto a quanto avrebbe potuto essere se il referendum non fosse stato celebrato. Le conseguenze sul potere d’acquisto dei cittadini e delle imprese britanniche sono state inevitabili. Pur non paragonando gli effetti della Brexit a quelli della crisi economica, il rapporto ammette che la prima ha avuto comunque un impatto negativo sui consumi, cresciuti al di sotto del loro potenziale.

Il deprezzamento della sterlina non ha dato un impulso positivo alle esportazioni. I motivi sono diversi. Il primo: l’export britannico è principalmente composto da servizi, che risentono meno delle dinamiche di prezzo delle merci. Il secondo: i prodotti esportati dal Regno Unito sono in larga parte realizzati con componenti importati, il maggiore costo di quest’ultimi ha annullato i benefici garantiti da una valuta più competitiva.

Infine: la Brexit ha depresso gli investimenti privati. Con l’aumentare delle incertezze sulle modalità di divorzio – il Regno Unito lascerà l’UE con un accordo o senza? Ancora adesso è difficile dirlo –, a partire dal 2018 in poi le imprese «invece che studiare strategie di investimento hanno iniziato a mettere a punto piani di emergenza in caso di uscita senza accordo».

 

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