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Pochi infermieri e lunghe liste d’attesa, i disagi della sanità pubblica

In Italia scarseggia il personale infermieristico negli ospedali pediatrici, così aumenta il rischio di mortalità infantile. Nell’ultimo anno 19,6 milioni di italiani costretti a rivolgersi a strutture private

di Redazione

Secondo gli standard internazionali di sicurezza, negli ospedali il rapporto infermiere paziente dovrebbe essere di uno a quattro, ma nella realtà italiana non è così, per quanto riguarda gli ospedali pediatrici ad esempio, un infermiere segue 6,6 bambini. 

Questo implica un problema, sia per la mole di lavoro, sia, soprattutto, per le conseguenze sui pazienti: per ogni bambino ricoverato extra, il rischio di mortalità a 30 giorni aumenta del 7%, con due pazienti e mezzo in più, come nel caso dei reparti pediatrici, il rischio arriva al 17-18%.

Lo studio, realizzato da dodici aziende ospedaliere che aderiscono all’Associazione degli Ospedali pediatrici italiani e presentato al Senato, sottolinea che, dato il rapporto di 1 a 4 nei reparti di chirurgia e medicina, in alcuni aree critiche come la terapia intensiva o la rianimazione, l’infermiere dovrebbe seguire un solo paziente al massimo. Ma i dati mostrano una situazione diversa: nei reparti di chirurgia e medicina il rapporto è rispettivamente di 5,9 e 5,7, mentre nelle aree critiche di 3,55. Questa situazione li ha portati a trascurare in media cinque attività assistenziali delle 13 ritenute necessarie.

La carenza di addetti però non riguarda solo gli infermieri, spesso la situazione in cui si trovano convive con una più generale mancanza di personale negli ospedali. Questo significa che gli infermieri, nel caso specifico, devono sopperire svolgendo compiti che non gli competono, come compilare moduli non infermieristici o altre attività burocratiche, che è capitato nell’ultimo turno a circa il 73% degli infermieri dei reparti considerati.

L’eccessivo carico di lavoro espone ancora di più gli infermieri, che sono già una categoria di lavoratori a rischio, al burnout, la sindrome da stress da lavoro che coinvolge soprattutto operatori e professionisti che quotidianamente si occupano della cura delle persone, di cui soffre il 32% degli infermieri negli ospedali che hanno partecipato alla rilevazione. 

Nonostante la situazione descritta, dalla ricerca emerge anche, però, che gli infermieri sono soddisfatti del proprio lavoro: lo è il 73,5% di coloro che operano nell’area chirurgica, il 74% dell’area medica e il 77,1% degli infermieri dei reparti critici.

Non sono solo i professionisti che lavorano negli ospedali a vivere una situazione di disagio, ma il problema esiste anche per i pazienti. Infatti, secondo il IX Rapporto Rbm Censis sulla sanità pubblica, privata intermediata, sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno, per almeno una prestazione sanitaria, dopo aver provato a prenotare con il Servizio Sanitario nazionale, a causa dei lunghi tempi di attesa, si sono dovuti rivolgere a strutture private. Le liste di attesa variano a seconda delle visite, ma mediamente gli italiani che vogliono usufruire del servizio sanitario pubblico devono aspettare 128 giorni per una visita endocrinologica, 65 per una oncologica 58 e 56 per le visite neurologiche e oculistiche.

Le lunghe attese sono osservabili solo quando non si trovano le liste chiuse, come è successo al 35,8% degli italiani nell’ultimo anno.

 

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