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Brexit, quali sono gli ultimi sviluppi

Dal governo Johnson che ha perso la maggioranza alle possibili elezioni per il 15 ottobre, passando per i costi di un’uscita senza accordo

di Redazione

Gli ultimi sviluppi nel dibattito sulla Brexit nel Regno Unito hanno dell’incredibile. A meno di due mesi dall’abbandono del Regno Unito dall’Unione europea – in ogni caso prevista il 31 ottobre, dopo essere stata rinviata (in principio sarebbe dovuta avvenire il 29 marzo di quest’anno) –, il governo britannico di Boris Johnson ha perso la maggioranza in Parlamento e non sono escluse nuove elezioni, qualora venisse approvata una mozione trasversale che autorizza il Parlamento a bloccare un’uscita dall’Ue senza accordo, uno scenario sempre più probabile, con tutte le conseguenze del caso. Come si è arrivati a questo punto.

Ieri l’ex ministro della Giustizia Philip Lee si è dimesso dal Partito conservatore, accomodandosi tra i banchi dell’opposizione. Così facendo, ha fatto perdere al governo la maggioranza, fondata su un solo voto. Alla decisione di Lee, se n’è aggiunta un’altra. Quella di un gruppo di conservatori “ribelli” – sono 21, poi espulsi dal partito – che hanno presentato una mozione trasversale (approvata ieri dalla Camera dei Comuni con 328 voti favorevoli e 301 contrari) per tenere oggi il voto, il cui esito è previsto dopo le 17, su una proposta di legge che obbliga il governo a ritardare l’uscita del Regno Unito dall’Ue fino a quando non sarà raggiunto un’intesa con i partner europei. In caso di nuova sconfitta del governo, Johnson ha annunciato la convocazione di elezioni anticipate per il 15 ottobre.

La settimana scorsa, Johnson aveva chiesto (e poi ottenuto dalla Regina Elisabetta II) la sospensione dei lavori del Parlamento britannico per cinque settimane, la più lunga dal 1945, togliendo ai parlamentari la possibilità di approvare una legge che provasse a impedire un’uscita senza accordo con l’Ue.

Quanto sta accadendo nel Regno Unito interessa anche gli altri Stati membri dell’Unione europea, preoccupati dal possibile impatto che un “no deal” potrebbe avere sulle loro economie. Oltre all’intenzione di Johnson di non voler saldare il Brexit bill, ovvero il conto da 39 miliardi di sterline che il governo di Theresa May ha promesso di versare all’Ue per il divorzio, un’uscita “dura” comporta anche altre conseguenze, più immediate: un buco da 10 miliardi di euro circa sul budget Ue per il 2020, che andrebbe coperto dagli altri Paesi Ue, in proporzione ai contributi già versati. Il think tank Jacques Delors Institute stima che il costo per l’Italia si aggiri tra i 900 milioni e un miliardo di euro.

Dieci miliardi di euro potrebbero non sembrare granché in valori assoluti, ma non è così nel bilancio comunitario europeo: si tratta di una somma pari a circa il 6% degli impegni di spesa programmati per il 2019.

 

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