Lavoro e maternità, donne ancora penalizzate in Europa
Che sia temporaneamente o definitivamente, nel vecchio continente sono perlopiù le donne a lasciare il lavoro per stare con i figli
di Redazione
Secondo la Survey europea sulle forze di lavoro, nel 2018 il 17% della popolazione occupata, o con una precedente occupazione, ha segnalato un’interruzione dal lavoro di almeno sei mesi per prendersi cura dei figli nel corso della propria vita, mentre il 42% sostiene di non aver avuto periodi di stop dal lavoro per questi motivi. Nella classifica europea Estonia e Lituania riportano la quota più alta di interruzione dal lavoro, in entrambe il 35% della popolazione occupata, seguiti dalla Bulgaria con il 33% degli occupati. Mentre i livelli medi più bassi si hanno a Malta, dove solo il 6% ha temporaneamente lasciato il lavoro. In Spagna e Portogallo, appena il 7% degli occupati prende una pausa da lavoro per assistere i figli.
È doveroso sottolineare che anche in questi paesi la media nazionale è bassa perché influenzata dalla percentuale praticamente nulla degli uomini che lasciano il lavoro per i figli, nonostante il gap tra uomini e donne in Spagna sia il più basso registrato in Europa, questo è comunque di 14 puti percentuali. Mentre raggiunge una differenza di 66 punti in Estonia e 67 in Bulgaria, paesi in cui il tasso di donne che lasciano temporaneamente il lavoro per i figli è rispettivamente del 68% e 67%. Il livello aggregato rispecchia benissimo il gap: se la media è del 17%, si deve precisare che analizzando il dato per genere il 33% delle donne sta a casa e solo l’1% degli uomini. In nessun paese europeo la media maschile supera il 4%, l’unica eccezione in Svezia dove il 13% dei papà ha rinunciato ad almeno sei mesi di lavoro per assistere ai figli.
Per quanto riguarda l’Italia a fronte di una media di circa l’11% degli occupati che lascia il lavoro per i figli, il livello delle donne che restano a casa per lo stesso motivo è del 21%. Senza dimenticare chi è “costretta” a rinunciare al proprio posto di lavoro. Secondo l’Ispettorato del lavoro, nel 2018, le dimissioni e le risoluzioni consensuali di mamme di bambini fino a tre anni sono state 35.963, le quali hanno riportato come motivazione principale quella dell’incompatibilità tra il lavoro e l’esigenza di cura dei figli, seguita dall’assenza di parenti di supporto e dagli elevati costi di cura sostitutivi come asili nido o baby sitter.
Nonostante non sia ancora sdoganata la cura dei figli come compito a carico della donna, il report dell’Ispettorato mostra segnali di miglioramento sul fronte dell’uguaglianza di genere (ma non su quello lavorativo): è aumentato rispetto al 2017 il numero di risoluzioni dei neopapà, che sono state lo scorso anno 13.488.