e-Commerce: le diverse strategie delle grandi aziende
Nike annuncia di non essere più un “first party seller”, ovvero di non vendere più i propri prodotti direttamente su Amazon: cosa significa e perché se ne sta parlando
di Redazione
Nike ha comunicato che non venderà più i suoi prodotti attraverso Amazon, e intende gestire il proprio e-commerce in modo autonomo. L’azienda ha annunciato in una nota che «nell’ambito degli sforzi di Nike per migliorare l’esperienza del consumatore attraverso relazioni dirette e personali, abbiamo deciso di completare il nostro attuale programma pilota con Amazon Retail. Continueremo a investire in forti e caratterizzanti partnership con altri retailer e piattaforme per servire i consumatori su scala globale».
L’intenzione sembra essere, quindi, quella di volersi concentrare sui clienti e sulla vendita diretta tramite i propri canali app e web: ad oggi le vendite dirette rappresentano quasi un terzo del fatturato annuale dell’azienda, pari a 11,8 miliardi di dollari nel 2018. In questo contesto le vendite online sono aumentate del 35%, contro un incremento del 6% nei negozi fisici.
La partnership tra il colosso degli articoli sportivi e quello dell’e-commerce, risalente al 2017, ha riguardato, essendo un progetto pilota, un numero limitato di prodotti. Nonostante i tentativi di rimanere fuori dal circuito Amazon, l’azienda di articoli sportivi ha concordato per offrire direttamente i suoi prodotti sulla piattaforma per far fronte al calo delle vendite del 2017 e per adattarsi alle strategie dei suoi diretti competitor, quali Adidas o Puma, che invece sulla vendita tramite Amazon puntano forte.
La collaborazione tra i due prevedeva un maggiore impegno a controllare maggiormente gli articoli contraffatti e vietare la vendita di prodotti originali del marchio Nike tramite parti terze. Secondo una ricerca del 2017 di Morgan Stanley, Nike risultava essere il brand di abbigliamento più venduto, nonostante l’azienda non si servisse direttamente di Amazon. Questo risultato è stato possibile proprio grazie agli intermediari, quindi senza un diretto controllo dell’azienda di abbigliamento.
Queste stime, però, non dovrebbero stupire troppo perché secondo dati di Amazon, le vendite di terze parti indipendenti, ovvero quei rivenditori che appunto utilizzano Amazon come marketplace, rappresentano il 58% del totale. La possibilità di trovare prodotti contraffatti fu il motivo che spinse anche Birkenstock ad interrompere i rapporti commerciali a partire dal gennaio 2018. Amazon, è doveroso ricordare, si è mostrata in più occasioni sensibile al problema attraverso specifiche azioni messe in campo, quali il sistema Project Zero e Transparency, servizio per la tracciabilità dei prodotti.