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C’è o non c’è una strategia fogliante?

di Fabio Germani

E con questa fanno due. O forse tre, a dar retta a certe malelingue. I 4.953 caratteri per 756 parole (grosso modo) con cui Silvio Berlusconi dalle pagine del Corriere della Sera rilanciava il tema dell’imposta patrimoniale (guarda caso affrontato pochi giorni prima in un’intervista al Foglio) e invitava il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, ad “agire insieme in Parlamento per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana”, facevano parte di una strategia comunicativa – si è vociferato con malizia (e con plausibile cognizione di causa) – messa a punto da Giuliano Ferrara.
La prima intervista al Foglio è del 28 gennaio. Già l’incipit era a testimonianza della parvenza dell’articolo: “Presidente, parliamo di politica o almeno proviamoci”. Obiettivo raggiunto, considerato che il caso Ruby non viene mai menzionato se non in un’unica e velata circostanza di rimbrotto nei confronti dell’opposizione troppo attenta ai “pettegolezzi” e alle “campagne scandalistiche più becere”.
“Puritani” è la parola da tenere adesso bene in mente. Il 9 febbraio è Giuliano Ferrara ad essere intervistato da Fabrizio Roncone per il Corsera. Con l’occasione il direttore del Foglio annuncia l’iniziativa prevista per domani mattina al Teatro Dal Verme di Milano: “Siamo in mutande, ma vivi”. Scopo della manifestazione è, parafrasando Ferrara, non darla vinta ai ‘puritani’ del Palasharp riunitesi, invece, lo scorso week end.
Il secondo appuntamento del Cav. con il Foglio è di oggi. Lo stesso Berlusconi utilizza il termine “puritani”, rafforzando l’assunto di Ferrara: “Chi, come voi dite, predica una Repubblica della virtù, con toni puritani e giacobini, ha in mente una democrazia autoritaria, il contrario di un sistema fondato sulla libertà, sulla tolleranza, su una vera coscienza morale pubblica e privata”.
La strategia “stop and go” dello spin è eloquente: alle aperture, alle iniziative politiche e alle richieste di tregua seguono risposte al vetriolo che ripagano gli antagonisti politici e della società civile del premier con la stessa moneta. Il presidente del Consiglio, perciò, si aggrappa a due vecchi cavalli di battaglia: il consenso ottenuto da un lato (la via giudiziaria è il solo strumento utile per sovvertire il voto popolare) e, dall’altro, le decine di processi “affrontati vittoriosamente” che gli permetterebbero di vivere serenamente le nuove avversità. E ancora: queste – afferma Berlusconi – che vogliono liberarsi di lui evitando “il voto degli italiani, tutti rincretiniti”, sono “élites boriose e antidemocratiche” alle prese con “una iniziativa extraparlamentare che punti sull’emergenza morale per distruggere la sovranità politica che il popolo italiano non è degno di esercitare”.
Molti dei concetti chiave emersi nella seconda intervista al Foglio sono i medesimi proposti da Ferrara, dunque in anteprima, durante il suo intervento al Tg1 del 10 febbraio, ieri per l’appunto. E torniamo così all’inizio.
La prima intervista incentrata sul dibattito dell’imposta patrimoniale, rilasciata in un frangente molto acceso dell’affaire Ruby, sembrava non aver provocato particolari reazioni. Con la lettera al Corriere, invece, il diverbio si è reso inevitabile avendo chiamato in causa direttamente il leader del maggiore partito di opposizione. E a conclusione dell’ultima chiacchierata con Ferrara il premier auspica che si torni a ragionare e ad operare intorno alle questioni che interessano i cittadini, perché così suggeriscono anche i sondaggi.
Che tutto questo non sia frutto di una chiara strategia comunicativa e mediatica? Difficile a credersi.

 

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