Yes, we twitt. Un altro modo di dire change | T-Mag | il magazine di Tecnè

Yes, we twitt. Un altro modo di dire change

LA PARABOLA DI WYCLEF
di Fabio Germani

Uno studio di registrazione piuttosto sobrio e sullo sfondo, appesa ad una parete, la bandiera dell’Egitto. In felpa verde (rigorosamente Adidas) e chitarra in braccio, Wyclef Jean canta Freedom. Le strofe sono intervallate di tanto in tanto dalle immagini in movimento delle proteste egiziane.
È il messaggio di speranza che l’ex componente dei Fugees dedica agli uomini e alle donne che in quelle ore sfilano in strada per manifestare il proprio dissenso, per cambiare il corso della storia.
È il pomeriggio dell’11 febbraio. Il vicepresidente Suleiman annuncia le dimissioni di Mubarak, dal 1981 al potere. È festa a Il Cairo, il popolo trionfa dopo 17 giorni di aspre contestazioni. Wyclef, nel frattempo, non smette di cantare. Il video postato su YouTube viene invaso di commenti. Alcuni esultano, altri ringraziano l’artista statunitense di origine haitiana per il sostegno.
Non è nuovo, Wyclef, ad iniziative del genere. Ad agosto 2010 pubblica un brano in creolo contro il presidente di Haiti, René Préval, colpevole a suo dire di avere influenzato la commissione elettorale nella decisione di escluderlo dalle elezioni presidenziali tenutesi a novembre. La discesa in campo per contribuire alla ricostruzione di un paese ancora sottosopra e traumatizzato dal devastante terremoto di gennaio viene resa nota da Wyclef sulle pagine del Wall Street Journal. A fare da cornice al dibattito, servendogli così un piatto invitante, qualche screzio con il cugino ed ex socio ai tempi dei Fugees, Pras Michel, e con l’attore americano Sean Penn, particolarmente attivo ad Haiti. I media parlano di Wyclef, ma è in Rete che il cantante cerca consensi. Su Twitter lancia appelli, fa proseliti. Il suo profilo è un ricettacolo di “retweet” delle persone che si congratulano con lui per l’impegno politico. E poi, naturalmente, c’è la musica. Ma le regole sono regole e vanno rispettate. Sono più di cinque anni che Wyclef non mette piede ad Haiti. Tanto basta, secondo la commissione elettorale, per tagliarlo dai giochi. Il rapper non si abbatte, ma con il passare dei mesi i testi politici in soli 140 caratteri diminuiscono costantemente. Il destino, però, riserva sempre delle sorprese. A un anno di distanza dalla sciagura che mise in ginocchio Haiti, l’Egitto si sveglia. Le convulse giornate sulle strade del Cairo devono essere un tumulto per Wyclef, che intanto torna a scrivere “tweet” come nei giorni migliori. Canta Freedom, partecipa alla lotta, una foto lo ritrae dietro una bandiera egiziana.
È l’11 febbraio e Piazza Tahrir è molto distante. Ma non importa, Wyclef ha di che gioire.

 

1 Commento per “Yes, we twitt. Un altro modo di dire change”

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