Chi usa meglio i testi di Vasco Rossi
Il festival di Sanremo non può non dirsi fortemente rappresentativo. Questo è certamente un dato culturale, sociale, di costume. Ma questi tre elementi combinati non forniscono forse anche un dato politico? E allora si dovrà digerire l’evidenza della rappresentatività politica del festival. Il valore storico della canzone, quale tratto d’istintivo di un’identita culturale nazionale, non si può certo trascurare. C’è in questo tuttà l’unità e insieme la frattura del Paese. Ed è ovvio che le espressioni artistiche che in qualche modo si possono dire partigiane abbiano un carico emozionale e una capacità aggregativa maggiore. Elementi di distinzione che evidenziano la frattura, ma che pure tengono insieme qualcosa. Intanto se pure non si vuol dire del decadimento artistico, che si può condividere o meno, non si può tacere dell’opportunistico riferimento che la politica fa alla musica. I parolieri prestano da sempre i testi alla politica. E ogni generazione trova in giro quel che questo fenomeno di volta in volta produce. Marco Pannella ha marchiato il suo congresso con il “Eh già, sono ancora qua” di Vasco Rossi. E un attimo prima di arrotolarsi le maniche, Bersani citava lo stesso artista cercando di “dare un senso a questa storia”. Potrebbe quindi essere solo un caso che altrove si canti “Meno male che silvio c’è“, piuttosto che “Voglio una vita spericolata“.