La novità imposta dal web: bisogna essere più bravi | T-Mag | il magazine di Tecnè

La novità imposta dal web: bisogna essere più bravi

EDITORIA. MASSIMO RAZZI RISPONDE

Proseguiamo la nostra indagine sullo stato dell’informazione online con una nuova intervista a un esperto del settore. Questa volta è Massimo Razzi* a fornire delle preziose risposte utili a decifrare come stanno andando le cose in questo settore che indubbiamente attraversa un particolare periodo di transizione.  

Il mondo dell’informazione vive un periodo convulso: le vecchie certezze lasciano il posto a un’insicurezza che dilaga tanto sul modo di approntare contenuti gionalistici che sui metodi migliori per diffonderli. Condivide questa preoccupazione e che prospettive di rilancio immagina?

Secondo me non si tratta tanto di preoccupazione e di insicurezza. Anzi, come dire, quella è la parte migliore della faccenda. Che cadano le vecchie certezze è un fatto del tutto positivo. La questione è che siamo in una fase di transizione e i giornalisti, a volte, si sentono un po’ spaesati. Io credo che aziende editoriali e giornalisti devono accelerare alcuni processi di cambiamento dell’organizzazione del lavoro e della stessa professione. Per esempio bisogna pensare a strutture in grado di produrre informazione su diverse piattaforme (carta, web, tv, radio, mobile ecc.) su nastri orari completamente diversi. Una cosa, però, è certa: se gli editori pensavano che il web avrebbe permesso di mettere in campo un’informazione più a buon mercato per loro perché gratuita per i lettori e, quindi, meno accurata, si sbagliavano di grosso. Sul web devi essere ancora più bravo perché trovi sempre qualcuno che ne sa più di te. A volte, questo è un limite della nostra categoria: non basta più saper raccontare in bella scrittura cose che solo tu avevi visto. Adesso devi raccontare con completezza, precisione e particolari inediti cose che sono sotto gli occhi di tutti e che molti possono verificare.

Carta stampata e web. Siamo di fronte a un’epocale transizione o piuttosto il sistema dell’informazione è destinato a trovare un punto d’equilibrio tra le due formule di diffusione?

Non sono mai stato tra i “catastrofisti”. Tra l’altro, se non mi sbaglio, sono già passate diverse delle date (una era senz’altro il 2010) in cui si doveva stampare l’ultima copia dei giornali di carta… e le edicole sono ancora piene. Quindi, pur condividendo la famosa affermazione di Murdoch secondo il quale “i giornali non sono gli alberi morti su cui si stampano” e ritenendo che più supporti si trovano e meglio è, non mi pare che il problema sia se la carta sparirà o no. Se devo dirlo, penso che non sparirà ancora per un bel po’ di tempo, ma la questione è trovare un nuovo equilibrio, anche economico, tra i diversi media.

Alcuni editori sono in affanno perché immaginavano di trovare nell’investimento sul web nuova linfa vitale. E invece si sono scontrati con un mercato pubblicitario che non sembra ancora in grado di premiare gli sforzi. Cosa c’è di sbagliato nell’editoria online nel nostro paese, perché non riesce a replicare i fasti d’oltreoceano?

A dirla tutta, per quanto ne so, il mio editore è piuttosto soddisfatto perché la pubblicità sul web ha ripreso a crescere con un buon ritmo e si avvicina (anche se per raggiungerla ci vorrà ancora tempo) ai livelli della carta stampata. Certo, complessivamente (se si escludono le “punte” dei grandi quotidiani online) c’è un ritardo e l’editoria sul web, in Italia, fa ancora una certa fatica. Soprattutto, a parità di diffusione (perché quasi tutti i quotidiani online superano per diffusione i corrispondenti giornali di carta), è una questione di prezzi dettati anche da un concetto di “autorevolezza” in parte comprensibile ma destinato, questo sì, ad essere probabilmente superato. A me pare, comunque, che i ritardi non siano tanto nei settori web dell’editoria che si “sbattono” continuamente a cercare nuovi spazi e nuove formule. Direi, piuttosto, che le concessionarie di pubblicità si sono mosse con un certo ritardo sul tema del web e che anche gli inserzionisti sono andati avanti per inerzia sul trinomi tv-carta-radio e, solo ultimamente hanno capito l’importanza del web. Comunque, non è solo questione di pubblicità, ma anche di modelli di business complessivi. E c’è di risolvere (ma non è semplice) il dilemma gratuità-non gratuità. Per inciso, io credo che l’informazione di base sul web debba continuare ad essere gratuita, che si possano vendere (non so con quanto successo) certi contenuti e (cosa che si sta già facendo) si possa puntare sulle applicazioni per i diversi “oggetti” (iPad, iPhone, altre “tavolette” ecc.) per ricevere l’informazione “mobile”. Penso anche che gli editori abbiano ragione a cercare una trattativa con i grandi provider: non è possibile che le risorse vadano tutte a chi vende connettività a scapito di chi produce contenuti di valore, senza i quali non ci sarebbe traffico.

Murdoch ha investito per la creazione di un giornale che sarà diffuso solo attraverso iPad ben trenta milioni di dollari, mettendo su una redazione di cento giornalisti. Immagina che una scommessa del genere sarà vincente?

Difficile capire come andrà a finire. Certo, l'”oggetto” Daily è affascinante, ma anche quello, per quanto bello e sofisticato, non può prescindere dalle notizie. A questo proposito, riporterei la nota che il direttore di Daily, Jesse Angelo ha inviato alla sua redazione nei giorni scorsi. La riporta Massimo Russo nel suo blog “Cablogrammi” e la trovo esilarante quanto giusta: “Ragazzi, l’Egitto è archiviato, tempo di concentrasi sulla copertura dell’America
Abbiamo bisogno di andare lì fuori e trovare storie da tutto il paese – non solo di ravanare il web e le agenzie, ma di uscire e raccogliere notizie. Trovatemi una storia umana stupefacente in un processo che gli altri non stanno raccontando. Trovatemi un distretto scolastico dove si combatte la battaglia della riforma e raccontatemi le vicende delle persone coinvolte. Trovatemi una città che sta per essere accorpata a un’altra per insolvenza (n.d.r. negli Usa anche le città possono fallire, nel qual caso vengono sciolte in municipalità più grandi). Trovatemi nella capitale di un qualsiasi stato una storia di corruzione a malaffare che nessuno abbia scovato prima. Trovatemi qualcosa nuovo, diverso, esclusivo e grandioso. Trovatemi il cane più anziano d’America, o l’uomo più ricco del Sud Dakota. Costringete l’addetto stampa della Casa Bianca a scaricare per la prima volta il Daily perché tutto il branco gli chiede di una notizia che abbiamo trovato noi. Piazzatevi davanti a una storia e rendetela nostra – forzate il resto dei media a inseguirci.
Sono le buone storie che faranno ritornare le persone al Daily – abbiamo messo insieme una squadra con i controc…, mostriamo al mondo cosa siamo in grado di fare”.
Insomma, come spesso accade, i progetti troppo “glamour” hanno poi bisogno di qualcuno con zappa e pala per farli andare avanti…

Nel nostro Paese sembra che le iniziative editoriali, fatta eccezioni per alcuni casi eclatanti come quello de Il Fatto, non abbiano molta possibilità di sopravvivere a lungo senza il sostegno dei finanziamenti pubblici. Il dibattito da anni appassiona molti che si dividono appellandosi ora al libero mercato, ora al diritto di accesso a un’informazione completa che tenga conto anche delle minoranze. Lei da che parte sta?

Per principio, direi che un giornale ha diritto di vivere se c’è qualcuno che lo compra. Poi, ovviamente, si possono fare dei distinguo: il pluralismo è certamente un bene da salvaguardare e le iniziative editoriali in crisi vanno aiutate anche se io lo farei con tagli di costi più che con contributi diretti. Anche qui, però, bisogna stare attenti, perché una cosa sono gli organi d’informazione (su qualunque supporto) nati da buoni progetti che, magari, hanno vissuto e combattuto per trovare e ottenere uno spazio e, adesso, sono in crisi. Un altro sono quelli che nascono e durano lo spazio di tempo necessario per “rubare” un po’ di denaro pubblico lasciando, poi, sul terreno i “morti e i feriti” della disoccupazione a carico dell’Inpgi.

Da anni si discute dell’abolizione dell’ordine dei giornalisti. Cosa ne pensa?

Sono d’accordo di abolirlo per come funziona adesso. Soprattutto quando si limita alla difesa un po’ corporativa della categoria. Sono anche d’accordo per superare l’attuale valore “legale” del titolo di giornalista professionista, anche se si dovrà pur trovare un modo per regolare l’accesso alla professione in modo da non lasciarlo solo al mercato e alle decisioni degli editori. Insomma, si tratta di una questione delicata in cui, comunque, eviterei decisioni tranchant.


*Massimo Razzi, genovese, 59 anni, è giornalista professionista da trenta. Ha lavorato all’Unità, Corriere Mercantile, Il Lavoro e, dal 1993, a Repubblica dove è stato in cronaca di Genova, cronaca di Roma, cronaca Nazionale e Politica. Dal 1999 è entrato nella redazione di Repubblica.it dove ha lavorato fino al giugno del 2010 quando è andato in prepensionamento con il grado di caporedattore e viceresponsabile del sito. Oggi è consulente del Gruppo Espresso per il web e si occupa dello start up di nuovi siti e di sistemi editoriali per l’online. Svolge anche attività di consulenza (sempre per i siti web) per il comune di Genova e ha insegnato alla Lumsa di Roma. Ha scritto un libro (“Il re delle bionde”, Einaudi – Gli Struzzi, 1997) e la serie televisiva “Il Capitano” (Rai). Vive a Roma, è sposato e ha 3 figli.

 

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