Come l’informazione è andata in cortocircuito | T-Mag | il magazine di Tecnè

Come l’informazione è andata in cortocircuito

NOTIZIE E GERARCHIE. COME SALTA L'AGENDA SETTING

Su queste pagine abbiamo osservato già in più occasioni il repentino cambio di priorità, dall’oggi al domani, dell’agenda setting. Terremoto in Giappone, rischio nucleare, guerra in Libia e, nelle ultime ore, l’emergenza migranti. Salvo eccezioni – a cui talvolta sarebbe meglio non assistere, si prenda come esempio la forte scossa di giovedì in Giappone – l’informazione segue uno strano corso alla bisogna: ciò che era particolarmente impellente diviene in un secondo momento qualcosa di misterioso, di segreto, di non raccontato. Alcuni eventi, però, vengono affrontati dai media a scopo pubblicitario perché “è quello che la gente vuole”. Altri per contingenze casuali, e con questi ultimi i giornali vanno particolarmente a nozze. Potremmo citare due casi, entrambi di questa settimana. Andiamo con ordine.
La spasmodica (e inutile) attesa del processo Ruby. Il 6 aprile è il giorno in cui si è aperto il processo che vede imputato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, accusato di concussione e prostituzione minorile. Da mesi circolano messaggi sui social network e video più o meno virali che ironizzano sull’evento mediatico dell’anno: Berlusconi a processo. Eppure diversi organi di informazione avevano avvertito che il 6 aprile non sarebbe avvenuto granché. In aula non si sarebbe presentato nessuno dei personaggi delle feste di Arcore né sarebbe potuta emergere alcuna novità. Questo perché nella prima udienza lampo, durata poco più di nove minuti, era prevista la calendarizzazione delle date dei fascicoli in programma e null’altro. Il processo è aggiornato al 31 maggio e a questo si aggiunga che nei prossimi mesi la Consulta dovrà esprimersi sul conflitto di attribuzione votato dalla Camera. Tanto rumore per niente? In parte sì e rientra nell’ambito di un gioco di poteri. Gli stessi media che alla vigilia hanno minimizzato l’inizio del processo Ruby, precedentemente l’avevano enfatizzato creando perciò aspettative nell’opinione pubblica non indifferenti. Non si tratta di schierarsi pro o contro, è un meccanismo perpetuo in cui, come sottolineava tra gli altri Commaille, i mezzi di comunicazione si “sostituiscono” al sistema giudiziario. Quest’ultimo, infatti, prevede tempi lunghi mentre i media hanno tempi contratti, sempre alla ricerca dell’attualità e dell’urgenza. La conseguenza, diremmo scontata, è che il sistema mediatico, sebbene tra le righe, indirizza la collettività su cosa è il “vero” e cosa il “giusto”. È la cosiddetta mediated justice. E non a caso il 6 aprile, a due anni dal terremoto che devastò L’Aquila (dove c’è ancora molto da fare, ha chiosato il sindaco Cialente in un’intervista a T-Mag), Carlo Buttaroni osservava come il ricordo di quel giorno nefasto sia venuto a cadere proprio all’avvio “del processo al bunga bunga”.
Meglio le piazze o le aule? Veniamo così al secondo punto. In un recente editoriale sul Corriere della Sera, Sergio Romano notava che quando “è usata dall’opposizione e soprattutto dal governo, la piazza è davvero un’ultima ratio e presenta almeno tre gravi inconvenienti. In primo luogo dimostra che ciascuno dei due maggiori pilastri della democrazia rappresentativa ha smesso di contestare l’avversario nei luoghi deputati della politica nazionale e ha deciso che il miglior modo per sopraffarlo è quello di sparare i suoi cannoni mediatici nelle piazze del Paese. In secondo luogo deprezza il valore della rappresentanza democratica conquistata nelle urne […]. E in terzo luogo, infine, le piazze mediatiche trasmettono alla società il sentimento che il sistema non è più in grado di risolvere con gli strumenti della democrazia i problemi del Paese”. È pur vero, al contempo, che l’Aula in queste giornate convulse non ha risparmiato spettacoli ancor più indecorosi, tra ministri che mandano a quel paese la terza carica dello Stato e colleghi che lanciano le tessere. E da ultimo esponenti politici che con un cartello danno dell’assassino a un rappresentante del governo, costringendo alle scuse persino il leader del proprio partito. Con tali presupposti sicuri che le aule siano meglio delle piazze?

 

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