Il secolo condizionato dall’ansia, la paura e l’instabilità
Una buona e una cattiva notizia. Ecco quella buona: ad aprile di quest’anno l’ISTAT registra un calo del tasso di disoccupazione (-0,2%), sia su base mensile che annua. La buona notizia purtroppo, però, dura poco e si perde in quella cattiva: rispetto a un anno fa calano gli occupati (-30 mila unità) e gli inattivi crescono di 302 mila unità (+2%). In un anno, quindi, scende sia l’occupazione sia la disoccupazione.
Lo strabismo dei numeri, però, è solo apparente. Come spiegano i ricercatori dell’Istituto nazionale di statistica la dinamica dipende da una minore partecipazione al mercato del lavoro. La disoccupazione quindi, oltre ad aumentare, tende a cronicizzarsi. Tradotto vuol dire che chi non ha lavoro, spesso, nemmeno lo cerca. Agli inattivi e ai disoccupati va aggiunta, inoltre, la massa di sotto-occupati, rappresentata dai lavoratori a tempo intermittente e parziale, la cui attività remunerata produce un reddito insufficiente alla sopravvivenza. Una quota che interessa un numero crescente di persone, in particolare i giovani. I disoccupati “ufficiali”, persone che cercano e non trovano lavoro, rappresentano solo la parte emersa di un iceberg che parla di una partecipazione sempre minore dei cittadini alla vita lavorativa. Cambiano, quindi, i parametri: l’alienazione non nasce più dalla ripetitività, come avveniva in passato, ma dall’assenza. E se nel secolo scorso i sociologi studiavano l’oppressione dovuta alla monotonia, adesso studiano l’ansia generata dall’instabilità e dalla perdita delle certezze. Ieri il sintomo era la noia, oggi l’ansia e la paura. Ieri il problema era la rigidità, oggi la precarietà. Le conseguenze sono rilevanti perché la precarietà non consente di fare progetti di vita a lungo termine e l’identità sociale segue tragitti più complessi, con continue sovrapposizioni e dissociazioni fra la sfera del lavoro e le altre sfere dell’esistenza, dando luogo a identità multiformi alla continua ricerca di tracce di cittadinanza alternative a quelle tradizionali.