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Col quorum o senza, i partiti hanno già perso

La scomparsa dei partiti dalla battaglia referendaria. Un po' per per strategia, e un po' perché sono senza bussola
di Mario Rossi

Il 13 giugno alle quindici ed un minuto sapremo se i referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento avranno raggiunto il quorum, determinando di conseguenza la vittoria dei Si, o se per la settima volta consecutiva negli ultimi sedici anni la consultazione referendaria è fallita perché meno del cinquanta più uno per cento degli italiani si è recato alle urne. A seconda dei risultati molto diverse saranno le valutazioni e le conseguenze politiche. In caso di una vittoria dei Si, probabile ma non ancora scontata, si aggraverà ulteriormente la già precaria condizione in cui versa il governo Berlusconi. Al contrario il fallimento del quorum, oltre a certificare una crisi a questo punto irreversibile dell’istituto referendario sul quale sarà necessario intervenire se non ci si vuole rassegnare alla sospensione di fatto dell’articolo 75 della costituzione, regalerà una boccata d’ossigeno al governo, assestando allo stesso tempo un duro colpo al redivivo centrosinistra. Sia come sia, un dato già oggi emerge chiaro e definitivo, e su questo è opportuno svolgere alcune riflessioni.
La consultazione referendaria ha certificato al di là di ogni ragionevole dubbio un ulteriore aggravamento della già cronica debolezza dei partiti. Le attuali forze politiche, ormai da tempo, hanno abbandonato il modello di partito novecentesco. Il mutare della società, della comunicazione e delle stesse dinamiche politiche, ha imposto una generale trasformazione della forma partito. Al netto di questo dato strutturale che riguarda tutta Europa e, più in generale tutte le democrazie occidentali, in Italia nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una crescente incapacità dei partiti in quella che dovrebbe essere la loro funzione principe: controllare e orientare il proprio elettorato. Il crescente tasso di astensionismo nelle consultazioni elettorali e la costante crescita del fenomeno rappresentato dal Movimento Cinque stelle è al tempo stesso effetto e causa di aggravamento di questa situazione. Anche le ultime elezioni amministrative confermano questa tendenza, perché i veri vincitori non sono stati i partiti, di destra o di sinistra, ma i candidati sindaco che, grazie alle proprie qualità personali e politiche e allo strumento di selezione (le primarie), hanno trainato le coalizioni che li sostenevano e non viceversa. La campagna referendaria attualmente in corso rappresenta un unicum assoluto, perché per la prima volta si assiste ad una generale ritirata dal campo di battaglia delle forze politiche, tutte nessuna esclusa. I sostenitori del SI per raggiungere l’obiettivo quorum, che significa circa venticinque milioni di elettori, hanno ritenuto indispensabile riporre ogni vessillo di partito. In questo caso è singolare l’atteggiamento dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Non ostante sia stato l’unico partito ad intraprendere in tempi non sospetti la traversata nel deserto della raccolta firme per i referendum, ora fa di tutto per eliminare qualsiasi colorazione politica dai quesiti che andranno al voto il 12 e 13 giugno. Non solo. E’ lo stesso Di Pietro a sostenere che la vittoria dei SI non c’azzecca nulla con la sorte del governo. Sul fronte opposto, quello della maggioranza non c’è una forza politica che, come in passato abbia fatto campagna per l’astensione, invitando ufficialmente gli elettori ad andare al mare. Il Pdl ha lasciato libertà di voto. La Lega ha nicchiato e di fatto non ha assunto una posizione ufficiale, ma ha lasciato ai suoi governatori e sindaci l’onere di pronunciarsi più o meno apertamente per un sostanziale invito al voto. Ultime ma non ultime vengono le posizioni eccentriche, in alcuni casi comiche, assunte da partiti come l’Udc o il FLI, ovvero il costituendo terzo polo. Entrambi invitano i propri elettori ad andare a votare. Ma le sorprese arrivano sulle dichiarazioni di voto sui singoli quesiti. Più ancora che il ripensamento sul nucleare, causa Fukushima, del nuclearista Casini, sorprende l’annunciato Si al referendum sul legittimo impedimento, dal momento che questa legge ponte fu ideata e votata proprio dall’Udc che ora la vuole abrogare. Di discorsi sulla necessità di confrontarsi nel merito dei quesiti referendari e di non giocare sull’astensione ne abbiamo sentiti a migliaia in questi anni, ma la realtà ci ha dimostrato che finchè è stato possibile le forze politiche, a seconda delle circostanze, hanno fatto un uso spregiudicato quanto legittimo dell’astensione nelle consultazioni referendarie. Se questo oggi non accade, se vicino al SI o al NO non compaiono i simboli dei partiti che rispettivamente li sostengono, non è per un improvvisa resipiscenza etico-morale, ma più semplicemente perché si cerca di metterci la faccia e lo stemma il meno possibile. Siamo in presenza di due paure parallele che nascono dalla stessa consapevolezza, quella di non controllare più l’elettorato. I partiti si nascondono o cercano di parlare il meno possibile perché temono che una indicazione precisa rischi di produrre l’effetto esattamente opposto. Per questo i SI sono stati lasciati a non meglio precisati comitati che, come è sempre stato, per mezzi economici ed organizzativi non sono neppure in grado di allacciarsi le scarpe da soli. Ed allo stesso modo chi spera che i referendum non raggiungano il quorum lascia libertà di voto, perché preferisce ridurre l’impatto di una sconfitta, invece che lavorare per evitarla.

 

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