PRIMARIE DEL PDL? SOMMA DI ERRORI
Il dibattito sulle primarie nel Pdl è a un punto morto. La creatura è stata soppressa in culla perché il disegno di legge presentato in Parlamento da Cicchitto e Quagliarello, per ciò che contiene, fa intendere molto bene quanto poco radicata sia la convizione che lo strumento delle primarie possa diventare elemento significativo nella vita di quel partito. Data l’evanescente sostanza della questione sorprende che il dibattito esterno che si è sviluppato ad opera di molti osservatori si sia accartocciato su aspetti ancora più evanescenti della questione stessa. Linkiesta, testata solitamente attenta e precisa, ad esempio, è incorsa in un errore davvero grossolano. Evidentemente per amor di polemica si è trascurato di basare i rilievi
mossi al ddl del Pdl in un articolo di recente pubblicazione.
Nel pezzo incriminato infatti – ma il caso è si è verificato anche altrove – si rileva l’esclusione dal dispositivo delle futuribili primarie della designazione del candidato premier, laddove si prevede che esse debbano svolgersi “per la scelta dei candidati alla cariche monocratiche per le quali il nostro ordinamento prevede l’elezione diretta”. E stando così le cose, non si capisce cosa ci sia da rilevare dal momento che nel nostro ordinamento l’elezione diretta del premier non è affatto prevista. A voler essere pignoli, e per onorare comunque l’amor di polemica di cui dicevamo, si sarebbe potuto mettere a fuoco la contraddizione di quella parte politica cui si deve l’affermazione di quella fantomatica costituzione materiale, con la quale – pur avendo introdotte pratiche concettualmente assurde – negli ultimi anni si è dovuto fare i conti. Nello scrivere un ddl senza troppo senso, così com’è stato fatto, dai legislatori pidiellini ci sarebbe aspettata maggiore coerenza con le teorie e le pratiche che animano le loro reiterate pulsioni riformatrici. Ma è evidente che le esigenze del Capo vadano oltre considerazioni di questo tipo. E questo si nota in quanto i suoi collaboratori fanno, tanto in quanto i suoi detrattori finiscono – sbagliando – per notare.