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La sorpresa della finanziaria a babbo morto

Serve una montagna di soldi, ma dove trovarli? Alla ricerca del senso della finanziaria | di Carlo Buttaroni
di Carlo Buttaroni

Ha ragione Tremonti: c’è bisogno di una manovra finanziaria che riporti in equilibrio i conti pubblici. E non solo perché lo vuole l’Europa ma soprattutto perché lo chiedono i mercati. Le agenzie di rating (quelle cioè che dicono ai piccoli e grandi investitori chi è affidabile e chi non lo è) per adesso ci sventolano sotto il naso il cartellino rosso di un possibile declassamento ma sono ben attente a non far partire il colpo che innescherebbe uno tsunami dalle conseguenze disastrose sulla fragile economia europea. Lo scenario è questo: noi siamo sull’orlo dell’abisso e il rischio è che, nella caduta, trasciniamo giù anche altri Paesi, almeno quelli che hanno problemi simili ai nostri (dal Portogallo al Belgio passando per la Spagna, tanto per intenderci). A complicare ulteriormente la situazione c’è l’aggravarsi della crisi greca che ogni giorno che passa appare ben più strutturale di quanto si pensasse (e si sperasse) all’inizio e la Banca Europea non sembra più in grado di sostenerne il peso e il rischio.
L’incendio, partito l’anno scorso – e alimentato dalla crisi economica – rischia di espandersi e le istituzioni europee hanno ormai ben poche risorse da mettere in campo per fermarne l’avanzata. Ecco perché la situazione dell’Italia preoccupa. Tenere sotto controllo un altro focolaio come quello greco è impensabile e l’accendersi di una nuova crisi porterebbe i Paesi economicamente più forti e solidi davanti alla scelta se chiudere le porte tagliafuoco oppure tentare un ultimo estremo salvataggio. Una situazione dai toni drammaticamente shakespeariani. Inutile nascondercelo: l’Italia, oggi, é tra i Paesi più esposti alle scintille trasportate dal grecale. Dire che la responsabilità di questa situazione è del governo di centrodestra sarebbe un falso storico, almeno quanto sostenere che é stato fatto tutto quello che andava fatto. Basta guardare il rapporto del debito sul Pil che nel 1990 era pari al 99%, nel 2007 al 103% e adesso sfiora il 120%. Un indebitamento che, oltretutto, non ha posto argini alla crisi economica e sociale che grava sul Paese. Ci sono buoni e fondati motivi, quindi, per smettere di preoccuparci e cominciare ad avere paura. Far finta di nulla, come a lungo ha fatto Berlusconi in tempi recenti, è un lusso che non possiamo permetterci. Anche perché, a dire il vero, nessuno è più disposto a concedercelo. Lo sa bene il Ministro dell’economia, in questo momento forte di un governo debole, il quale però ogni giorno corre il rischio di rimanere con il cerino in mano e senza l’appoggio della sua maggioranza. E quindi si muove con estrema cautela. Lo sa ancora meglio il Presidente della Repubblica che ormai è considerato, a livello internazionale, il vero garante di una traversata che sicuramente non sarà facile. E probabilmente nemmeno breve. 47 miliardi, tanto per cominciare. Una manovra distribuita su più anni, con gran parte del peso spostato sul 2014. Una finanziaria diluita è sicuramente una buona idea: in primo luogo non fa sentire il sapore di una medicina che lascerebbe presupporre la presenza di una qualche malattia strutturale. In secondo luogo, siccome la nostra ripresa ė piú debole e lenta rispetto a quella degli altri grandi Paesi dell’eurozona, non dovrebbe comprimere e intimidire i deboli segnali di risveglio della curva del Pil. Infine il costo sociale: sarà quasi tutto a carico del prossimo governo, quale esso sia. E su quest’ultimo punto viene proprio da pensar male e far peccato. Comunque appena varata si dice che la manovra avrà bisogno di una correzione autunnale: forse altri 10-15 miliardi. Forse il doppio. A queste cifre vanno aggiunti circa 30 miliardi (Tremonti parló addirittura di 80 miliardi) per realizzare quella riforma del fisco che rappresenta il piú recente dei molti cavalli di battaglia del governo Berlusconi. Infine bisognerà mettere in cascina altri soldi per far partire il federalismo, altrimenti la Lega fa saltare il banco. Insomma, di riffa o di raffa, e volendo risparmiare, occorrono un centinaio di miliardi, piú del doppio di quelli della finanziaria di Giuliano Amato del 1992, quella cioè del prelievo sui conti correnti. Tutta un’altra storia si dirà. Se non fosse che, oggi come allora, l’Italia è un Paese con un debito pubblico enorme rispetto ai Paesi sviluppati ma si colloca agli ultimi posti per quanto riguarda l’indebitamento privato. È per questo motivo che l’Italia, si sussurra negli emicicli che contano, non corre gli stessi rischi della Grecia. Basta trasferire, quota parte, il debito dal pubblico al privato. E il gioco é fatto. Naturalmente questa è una provocazione. E sarebbe veramente peccato solo pensarlo: tanto varrebbe, allora, dichiarare bancarotta. Resta Il problema di dove trovare questa montagna di soldi che occorrono per portare in equilibrio i conti. Non si possono chiedere altri sacrifici agli evasori, anche se l’evasione rappresenta da sola l’ammontare di una super finanziaria. Chi evade si sentirebbe vessato. D’altra parte, ogni volta che occorro soldi, ci si ricorda di quei poveri cristi che viaggiano in Ferrari ma guadagnano pur sempre meno di un bidello. Oltretutto, per quanto riguarda il recupero dell’evasione, c’è un altro problemino: non si possono coprire spese certe con entrate incerte. È stato più volte ribadito anche dalla giustizia contabile: prima si recuperano i soldi (e sarebbe cosa buona e giusta), poi si spendono. Più che politica del rigore sarebbe buon senso. E anche una best pratiche, per usare un inglesismo. Dal sociale, con i tagli già programmati con la precedente finanziaria che superano il 70%, non si può ricavare nulla. Stesso discorso per quanto riguarda il trasporto pubblico: tagli già fatti e possibilità di recupero pari a zero. Semmai il problema è come rifinanziarlo il trasporto se non si vuole cancellarlo del tutto. Rimangono gli interventi per sfoltire la giungla di detrazioni e deduzioni, un piatto di oltre 150 miliardi. Ci sarebbe anche la leva fiscale ma la parola “tasse” ormai è impronunciabile. Eppure intervenire con la fiscalità per riportare in un equilibrio i conti pubblici riducendo anche le iniquità sociali è l’intervento più eticamente accettabile che un governo possa fare. Ma significherebbe farsi carico di una scelta chiara: trasferire parte della ricchezza da chi ha molto a chi ha poco. Questa si che sarebbe una boccata d’ossigeno per la nostra traballante economia perché farebbe rientrare nel mercato chi adesso non c’è e coloro che la recente crisi ha posto ai margini. Una scelta che, come sanno gli studenti al primo anno di economia, rilancerebbe i consumi senza intaccare i conti. Per prendere una decisione del genere occorre però coraggio. Quello che ha chiesto il Presidente della Repubblica al governo. La risposta, a prima vista, va nella direzione opposta. Si è scelta la strada del rinvio a data da destinarsi scaricando su regioni e comuni gran parte della manovra per il 2011 (1,5 miliardi) e per il 2012 (5,5 miliardi) e lasciando al prossimo governo il saldo della maxi rata finale da 35 miliardi. In anni di finanza creativa questa sarà la prima finanziaria “a babbo morto”. Difficile dire se sia poco o molto, speriamo almeno sia giusto.

 

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