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Val di Susa. Proteste e prospettive di sviluppo all'ombra della sindrome Nimby | di Mario Rossi

Le proteste e i nuovi scontri in Val di Susa per la costruzione della Tav impongono una serie di considerazioni. La prima e la più immediata è che un paese che non è in grado di realizzare opere e soprattutto infrastrutture strategiche per il suo sviluppo economico non ha un futuro. Una constatazione che diviene ancora più preoccupante se tale incapacità nasce dall’impossibilità di applicare regole e leggi. La sindrome Nimby sembra aver trovato in Italia il suo terreno d’elezione. Qualunque cosa si voglia realizzare dalla costruzione di un banale parcheggio, a quella di inceneritori, per arrivare alla costruzione di grandi opere infrastrutturali, trova sempre fieri oppositori che sovente non motivano il loro dissenso e la conseguente mobilitazione alla luce di convinzioni ideologiche o con confutazioni dati alla mano, ma semplicemente con il fatto che quella determinata opera non la vogliono nel loro giardino, piuttosto che nella loro città o nella loro valle, ma non avrebbero nulla in contrario alla costruzione della stessa opera se questa avvenisse in un altro luogo, magari non troppo lontano.
Sembra quanto sta accadendo nella Val di Susa dove da anni ci si oppone alla costruzione di un infrastruttura che, pur producendo un inevitabile impatto sull’ambiente e sul territorio circostante, non sarà comunque devastante. Si sta parlando infatti di una linea ferroviaria, come quella che consente agli Eurostar di correre nelle belle campagne toscane e umbre senza per questo averle devastate, e non di un’autostrada a quattro corsie che richiede tonnellate di cemento e che costituirà la sede dove sfrecceranno milioni autovetture e camion.
Proprio perché si sta parlando di ferrovia e che, per giunta, dovrà essere adibita al trasporto merci, sorprendono le proteste se si considera che il trasporto su gomma è sempre stato apprezzato dagli ambientalisti al pari dei cani in chiesa.
Altra considerazione inevitabile riguarda il deprimente spettacolo offerto dalle forze politiche di destra e di sinistra, di maggioranza e di opposizione, uno spettacolo ed una titubanza da parte di chi deve decidere che ancora una volta sottolinea la debolezza stessa della politica.
Che ci siano forze e personaggi che tentino di lucrare consensi attraverso il sostegno alla protesta è cosa assolutamente normale ed anche fisiologica si potrebbe dire.
Le parole pronunciate da Grillo sui manifestanti valsusini eroi perché si oppongono alle prove di dittatura in atto, non si sa bene da parte di chi (il governo certamente, ma anche quasi tutti i partiti e, perché no, anche i giornali) hanno suscitato scalpore in maniera eccessiva.
Il problema non è che ci sia qualcuno che protesta, il problema invece è che chi deve decidere oggi e chi lo dovrà fare domani abbia paura nel sostenere le sue ragioni.
Con tutto il rispetto per Grillo e il Movimento cinque Stelle, ma anche per i Verdi e Sel, il partito Comunista Italiano nel corso della sua storia ha rappresentato un qualcosa di leggermente più importante, forte e autorevole, rispetto a questi soggetti, eppure si è trovato diverse volte a sostenere tesi politiche che non stavano ne in cielo né in terra per quanto riguarda gli interessi dell’Italia. Basti citare l’opposizione feroce al piano Marshall. Se De Gasperi e la Democrazia Cristiana non avessero avuto il coraggio di sostenere le proprie ragioni e di imporre democraticamente l’accettazione di quel programma di aiuti, probabilmente l’Italia non sarebbe mai entrata nel novero degli stati più industrializzati del mondo, o almeno non vi sarebbe arrivata con gli stessi tempi.
Un ultima riflessione deve essere dedicata ai tempi di realizzazione del progetto. Infatti mentre gran parte delle opere infrastrutturali sul versante Francese sono state già avviate nel 2001 ed in gran parte concluse, leggere che per quanto riguarda l’Italia si prevede di consegnare l’intera opera non prima del 2030, qualche perplessità la fa nascere.
Cantieri che rimangono aperti per tanti anni provocano ad un tempo, un danno ambientale, in particolare in una zona come quella alpina, un disagio anche economico, in termini aggravio di tempi per la circolazione, per gli abitanti del luogo ed il rischio che quando si arriverà alla consegna dell’opera, essendo passato un gran numero di anni, questa potrebbe rivelarsi non più strategica come le era venti anni prima, perché è evidente che l’economia e il mercato non aspettano nessuno.
Una protesta contro questi rischi non solo sarebbe comprensibile, ma anche doverosa.

 

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