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L’instabilità politica compromette il risanamento del Paese

di Antonio Caputo

Ripercorriamo quanto accaduto nell’ultimo mese: a fronte della speculazione, il Governo vara, su pressione europea, la seconda manovra correttiva in due mesi; si apre immediatamente un dibattito su possibili modifiche, che dura quasi un mese, con un fiorire di proposte, controproposte, fughe in avanti, repentine marce indietro, soprattutto di esponenti di maggioranza, fino all’approvazione definitiva.
Risultato? I mercati continuano a traballare, lo “spread” tra Btp e bond tedeschi non accenna a diminuire, e probabilmente si intravede ogni giorno come più vicina la necessità di un’ulteriore manovra correttiva. Come mai? Presto detto: i mercati guardano all’affidabilità del sistema Paese e dubitano che noi ce la si possa fare.
L’ultima scossa sui mercati è stata innescata dalla dimissioni dalla BCE del tedesco Stark che non condivide la politica di acquisto di titoli di stato italiani (e spagnoli). Il problema però non è Stark ma l’affidabilità italiana: la principale causa della crescita dello “spread” è lo scontro al calor bianco tra le parti politiche (che non danno l’impressione di voler collaborare per superare il difficile momento) e soprattutto l’accoglienza che la manovra ha avuto nella maggioranza, con continue proposte di modifica che ingenerano una confusione che, sempre deleteria, è particolarmente perniciosa in un momento drammatico come quello attuale.
Come possono i mercati darci credito, se Berlusconi dice una cosa, Tremonti un’altra, Bossi un’altra ancora, e sindaci e governatori PdL fanno le barricate? Gli effetti positivi delle manovre vengono bruciati dai tira e molla continui.

Sembra di esser tornati a cinque anni fa, con l’attuale maggioranza che ripercorre la parabola discendente dell’Esecutivo di Prodi il cui declino comincia dopo l’estate 2006, con la finanziaria: distinguo continui nella maggioranza, proposte e controproposte di modifiche che spuntano di mattina, suscitano reazioni negative il pomeriggio, vengono sconfessate la sera e ricompaiono magari sotto altra forma di notte, con l’impressione generale della stangata che si abbatte sui cittadini; il tutto con un duplice effetto negativo: per il consenso alla coalizione al Governo, e per l’inaffidabilità sui mercati.

Ciò che non convince dell’attuale manovra (è comunque un bene la sua approvazione, come sottolineato da OCSE, UE, BCE e Fondo Monetario: una bocciatura sarebbe il disastro) è il fatto che incide poco sui tagli e molto sulle entrate. L’Italia ha vissuto per decenni sopra le proprie possibilità, sprecando fiumi di denaro, finiti nel pozzo senza fondo dei pubblici bilanci: se non si eliminano gli sprechi consolidati in decenni, non ci saranno manovre che potranno bastare.
O la politica avrà il coraggio di porre fine a lussi che non possiamo permetterci, o sarà addirittura auspicabile il default: non possiamo far pagare ai tedeschi con gli eurobond gli 80 membri del Parlamento regionale della Sardegna (pari a quelli della Camera bassa della California); i sei Comuni dell’Isola d’Ischia; i forestali calabresi (un terzo di quelli di tutti gli Usa); le quasi ambasciate delle Regioni a Bruxelles e in altri Paesi; che una siringa costi un euro in Lombardia e quattro in Sicilia; i consulenti per la pace nei comuni; l’uso da parte della politica e dal sindacato di Alitalia, Trenitalia e Tirrenia come ufficio di collocamento; l’uso anche della scuola come ufficio di collocamento con almeno 100 mila insegnanti in sovrannumero, o l’esercito di quasi 170 mila bidelli (con servizi di pulizia molto spesso appaltati ad imprese esterne); i corsi universitari per un solo studente; la pensione a 57 anni; l’intollerabile livello di evasione fiscale, il doppio degli altri Paesi; la mancata valorizzazione del patrimonio pubblico, con appartamenti fittati dai comuni a pochi euro mensili.

C’è infine una riflessione seria sul sistema di welfare: se lo Stato (da 150 anni) pretende di far tutto su istruzione, sanità, spesso non ci riesce, o lo fa male. Ci sono, invece, privati in grado di farlo in modo più efficiente: aiutare costoro costa meno e permetterebbe di avere un sistema migliore. La volontà di accentrare tutto è deleteria: è costosa ed inefficiente, ma probabilmente resiste perché permette ai politici (se i compiti sono dello Stato o degli enti locali) anzitutto di amministrare soldi (tanti), e poi di usare quei soldi per costruire il loro potere, oleando con tali spese i marchingegni della loro macchina elettorale, con assunzioni clientelari in cambio di voti, soprattutto, ma non solo, al Sud.

 

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