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Due o tre spunti sul referendum elettorale

di Antonio Caputo

La scorsa settimana, trionfante, il Comitato promotore dei (due) referendum elettorali, ha annunciato che la raccolta delle firme ha sfondato di gran lunga gli obiettivi prefissati, superando, addirittura, il milione e 200 mila firme (sono sufficienti 500.000) e ciò nonostante il silenzio dei media, il “Generale Agosto”, ed il fatto che non ci sia stata mobilitazione dei partiti maggiori (il PD ufficialmente non si è schierato, il che è costato a Bersani gli attacchi di Arturo Parisi, tra i promotori del referendum).
Superato (alla grande) il primo scoglio, resta ora quello più temuto: il vaglio della Corte Costituzionale, e qui sorgono i problemi.
Andiamo con ordine: cosa propongono i quesiti? Il primo (scheda blu), l’abrogazione integrale della legge ‘Porcellum’; il secondo (rossa) la sua abrogazione parziale, nella parte in cui cioè detta una nuova disciplina, abrogando il precedente “Mattarellum”: obiettivo dichiarato dei referendari, far tornare in vigore, col meccanismo della “reviviscenza”, la legge precedente.

Dubito che la Corte Costituzionale ammetterà i referendum: il primo non ha nessuna possibilità di passare, in quanto, con giurisprudenza consolidata, la Consulta ha più volte ribadito che i referendum elettorali sono ammissibili solo se, con l’abrogazione (che può esser solo parziale), lasciano in piedi una cosiddetta disciplina di risulta applicabile, che permetta in ogni momento di tornare ad elezioni per gli organi costituzionali; pertanto, prevedendo l’abrogazione integrale della legge, il quesito sarà cestinato.
Più complessa la situazione per il secondo, che punta al ripristino del Mattarellum: autorevoli commentatori (su tutti il professor Sartori) hanno fatto notare come la natura dei referendum nell’ordinamento italiano (abrogativa) non permetta di sostituire una legge (precedente) ad un’altra (quella da abrogare, oggetto del referendum). Ma non per ciò solo, a mio giudizio, anche tale referendum non passerà, ma anche perché, pur volendola ammettere, la reviviscenza del Mattarellum renderebbe inapplicabile la disciplina di risulta che scaturirebbe dall’esito referendario, e mi spiego.
Le leggi (una per ramo del Parlamento) Mattarellum, prevedevano che in ogni Regione (al Senato), o Circoscrizione (alla Camera), il 75% dei seggi ad essa spettanti sulla base dell’ultimo censimento, si attribuivano con criterio maggioritario in collegi uninominali, e il restante 25% su base proporzionale, regionale (Senato) o nazionale (Camera, con voto di lista e sbarramento nazionale al 4%).
Ora perché la normativa scaturente dal referendum sia applicabile, bisogna che Regioni e circoscrizioni, dati i seggi loro spettanti sulla base dell’ultimo censimento, siano suddivise in collegi uninominali che eleggano il 75% dei seggi con criterio maggioritario. E qui casca l’asino: il referendum non disegna (né potrebbe) i collegi uninominali (partorirebbe perciò una disciplina inapplicabile); e neppure si possono ripristinare i vecchi, perché la legge era chiara nel designare i criteri di riparto maggioritario/proporzionale: 75% a 25%, disciplinando anche le approssimazioni. Era quella legge che il referendum vorrebbe ripristinare a stabilire che, se il numero di seggi di una Regione al Senato fosse (poniamo) 22, 16 di essi fossero eletti nei collegi maggioritari, e che se i seggi totali fossero stati 21, i collegi sarebbero stati 15; o, alla Camera, se ci fossero 10 seggi in una Circoscrizione, 8 di essi sarebbero stati maggioritari, e, se invece i seggi totali fossero 9, quelli maggioritari sarebbero stati 7.

Ma il Mattarellum è del 1993, e il riparto di seggi tra regioni e circoscrizioni avveniva sulla base del censimento del 1991; nel frattempo si è svolto il censimento del 2001 che ha cambiato i “rapporti di forza” tra regioni, in termini di seggi ed è appena partito un ulteriore censimento. Oltretutto, nel 2001 (quindi dalle elezioni 2006) fu approvata la riforma costituzionale che disciplinava il voto degli italiani all’estero, attribuendo all’estero 12 deputati e 6 senatori. Il numero di seggi tra regioni e circoscrizioni va pertanto suddiviso per 618 (e non più per 630) alla Camera, e per 309 (non più per 315) al Senato, salva per Palazzo Madama, l’attribuzione minima di seggi per le regioni più piccole, fissata in Costituzione.
I “vecchi” collegi, quindi, che andavano bene dal 1991 al 2001, e senza i seggi all’estero, non possono certo andar bene ora; ergo, se passasse il referendum, ci troveremmo dinanzi ad una normativa inapplicabile, determinando così la paralisi delle Assemblee parlamentari.

Ci sarebbe poi un ulteriore profilo di incostituzionalità relativamente al Senato, per il ripristino dei ‘vecchi’ collegi, i quali non contemplavano (ovviamente) il passaggio di sette Comuni dalla provincia di Pesaro a quella di Rimini, e così quei Comuni si ritroverebbero ancora nel vecchio collegio 6 (Pesaro/Urbino) della Regione Marche, anziché in quello 15 (Rimini) dell’Emilia/Romagna, il che sarebbe una palese violazione del dettato costituzionale che sancisce l’elezione regionale dei senatori.
Mi scuso per il tecnicismo, ma quando si tratta di questi argomenti, come il vaglio di costituzionalità di un referendum, non si può non spiegare nel dettaglio la normativa.
La campagna referendaria ha fatto leva, dispiace dirlo, su un inganno demagogico: quello della possibilità (che non esiste, per le ragioni ora ricordate) di abrogare l’attuale (pessima) legge elettorale, e il successo clamoroso dell’iniziativa dimostra inequivocabilmente la volontà dei cittadini. Spetterà ora al Parlamento varare una nuova legge, cosa che il referendum non può fare: ma il semplice fatto che la richiesta non sia costituzionalmente ammissibile, non può diventare l’alibi, per le Camere, per mantenere una legge (il Porcellum) non più difendibile.

Svestendo i panni del tecnico, ed esprimendo un auspicio, spero che la riforma vada in senso proporzionale, un sistema più adatto, a mio giudizio, alla complessa realtà socio/politica italiana che non ingabbi le forze politiche in alleanze improbabili, capaci, magari, di vincere le elezioni, ma impotenti e paralizzate quando si tratta di governare.

 

1 Commento per “Due o tre spunti sul referendum elettorale”

  1. […] Promotore, della missione compiuta, relativamente alla raccolta firme (ai primi di ottobre), ebbi già a scrivere, su queste colonne, che per lo meno il primo dei due referendum non aveva nessuna possibilità di […]

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