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Le buone intenzioni stavolta non basteranno

Dal patto con gli italiani a quello con l'Ue: dieci anni di promesse
di Carlo Buttaroni

Correva l’anno 2001. Negli studi di Bruno Vespa, l’allora candidato premier Silvio Berlusconi, siglava solennemente il “patto con gli italiani”, promettendo una “rivoluzione infrastrutturale” per il nostro Paese.
Dieci anni dopo le strade italiane sono ancora la metà di quelle tedesche e francesi con un deficit di competitività che costa caro alle imprese e al PIL. Nel cassetto del governo ci sono 250 opere considerate strategiche, il cui costo di realizzazione equivale a 125 miliardi, ma con risorse pari circa a un terzo del fabbisogno.
In un’ipotetica classifica degli stipendi, oggi, i lavoratori italiani si collocano solo al ventitreesimo posto, con circa 15 mila euro l’anno, dopo Paesi come la Corea del Sud (28 mila), Regno Unito (27 mila), Svizzera (25 mila), Usa (22 mila), Germania (21 mila), Francia (18 mila) o Spagna (17 mila).
Rispetto ai colleghi europei, i lavoratori italiani percepiscono uno stipendio inferiore del 17% a quello medio dei Paesi Ocse; pari al 56% di quello degli inglesi, al 71% di quello dei tedeschi, all’83% di quello dei francesi e all’88% di quello degli spagnoli.
Non che la vita costi meno. Al contrario, fatto 100 il costo della vita nei Paesi dell’Euro, l’Italia è a quota 104 mentre l’Inghilterra si ferma a 100.
In Italia una “giornata tipo” – fatta di colazione, spostamenti, spesa, telefonate, eccetera – pesa per una quota pari all’84% dello stipendio di un lavoratore. In Germania è circa la metà (43%), in Spagna è del 59%, in Francia è del 61%, in Inghilterra del 59%, in Svezia del 67%. E dal computo è esclusa l’abitazione.
Dopo dieci anni dal patto con gli italiani – otto dei quali alla guida del Paese – Silvio Berlusconi sigla il “patto con l’Europa”, promettendo una “rivoluzione liberale” da realizzare nel restante anno e mezzo di mandato. Sempre, naturalmente, che la maggioranza tenga.
Piacciano o no le riforme, nella lettera che il Presidente del Consiglio ha mandato all’Unione Europea, ci stanno. Se sono quelle che servivano al nostro Paese è un altro discorso. E un altro discorso ancora è se il modello liberista, che ne costituisce la cifra, sia quello giusto per l’Italia, considerate le molte iniquità e le vischiosità che strutturano il nostro sistema.
Certo è che, nei prossimi mesi, se sarà realizzato il programma contenuto nella lettera, assisteremo a tali e tante riforme da far apparire gli ultimi 60 anni della nostra storia un film in bianco e nero visto al rallentatore.
Forse sarebbe stato meglio un programma meno ambizioso e più realistico perché il rischio è anche nel suo opposto: se il piano delle cose da fare dovesse rimanere una lista delle intenzioni, anziché a un film, assisteremo a una sit-com che scorre a tutta velocità, come certe vecchie comiche. E nel caso, purtroppo, non ci sarebbe proprio nulla da ridere.

 

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