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Sacconi: “Viviamo una dialettica da guerra civile”

“Quello che è successo a Roma è sì sintomo di insofferenza giovanile, ma indica anche che sono al lavoro nuclei organizzati che operano clandestinamente per trasformare il disagio in rivolta”. Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, torna tramite un comunicato sulle parole pronunciate a SkyTg24 domenica, ospite del programma di Maria Latella, puntualizzando in particolare riguardo il “complesso dispositivo” che lo protegge: “Per ciascuno, le autorità hanno deciso sulla base di notizie precise? Qualcuno ha fatto loro i nomi? Niente di tutto ciò: le scorte vengono assegnate prevalentemente sulla base di analisi di ‘contesto’, che tengono conto del clima politico, sociale e criminale nel quale chi è sottoposto a tutela si trova ad operare. La prevenzione seria si basa non solo su dati certi, ma anche e soprattutto sull’intelligenza dei fenomeni”.
“Oggi, in Italia non esiste (ancora…) un movimento eversivo da cui possano scaturire energie terroristiche paragonabili a quelle che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni del secolo scorso. La crisi delle ideologie ha colpito anche le progettualità rivoluzionarie. Quello che è successo a Roma – spiega ancora Sacconi – ci dovrebbe tuttavia far riflettere sull’esistenza, nel nostro Paese, di spinte ribellistiche di non sottovalutabile potenzialità eversiva. Le tossine degli anni Settanta continuano a produrre patologia politica. L’Italia non vive una condizione di guerra civile. Viviamo, tuttavia, quotidianamente un dibattito politico e una dialettica da guerra civile. Le parole corrono, i concetti si semplificano e si amplificano e concorrono alla creazione del ‘contesto’ nel quale dalla ‘character assassination’ è agevole passare all’intolleranza insistita nei luoghi pubblici e al tentativo di violenza fisica sul nemico”.
“Marco Biagi – conclude il ministro – non è stato ucciso da una possente organizzazione terroristica. È stato assassinato da un gruppetto di una decina di persone (infermieri, tecnici di radiologia, precari universitari) che pensavano di fare un favore alla società eliminando quello che anche voci non rivoluzionarie descrivevano come un ‘nemico dei lavoratori’. Non è necessario temere un ritorno all’eversione di massa degli anni Settanta, per paventare che un dibattito politico manicheo ed esasperato come quello dei giorni nostri possa produrre un ‘contesto’ nel quale un gruppetto sparuto di esagitati possa tentare di eliminare il nemico dei lavoratori di turno”.

 

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