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Nell’Europa in crisi siamo governati dalle immagini

L’incontro con due grandi registi, John Boorman e Cédric Kahn, è l’occasione per riflettere sul ruolo dell’immagine nella nostra società
di Giampiero Francesca

“Sono le immagini a dover raccontare una storia nel cinema”. Era il 2008, John Boorman, autore di film come Duello nel Pacifico e Un tranquillo week end di paura, presentava così la sua ultima fatica, The tiger’s tail, una riflessione sulla società irlandese, sul boom economico e sulla crisi che già appariva all’orizzonte. A tre anni di distanza da quell’intervista, l’anteprima al festival internazionale del film di Roma di Une vie meilleure di Cédric Kahn, ripropone ora un’importante riflessione sulla forza e sul ruolo che le immagini giocano all’interno della nostra società. Le parole dei due registi, il cui parallelo non sembra poi così azzardato considerato le condizioni socio-economiche dell’Irlanda di allora e della Francia di oggi, sembrano infatti porre una domanda: le immagini ci guidano o ci ingannano?

Questo incredibile strumento della comunicazione può infatti sicuramente rappresentare un potente mezzo di informazione e documentazione, una chiave per decifrare la realtà. Non è un caso che lo spunto stesso della pellicola di Cédric Kahn nasca proprio da un servizio televisivo: “Posso dire di esser stato in parte ispirato dalla crisi, tutto è nato da un servizio del telegiornale che mi ha profondamente toccato. I protagonisti di questo servizio erano un’anziana coppia che viveva in una modesta dimora. Grazie ai mutui subprime i due erano riusciti, con grandi sforzi, ad acquistare una casa più grande. La cosa terribile di questa storia era però che, con l’arrivo della crisi, la coppia si era trovata in una condizione peggiore di quella precedente. I due infatti avevano il sogno di un vita migliore, un’illusione alimentata proprio dalla tentazione di mutui così vantaggiosi. Il sogno, inizialmente avveratosi, li aveva però portati a vivere in uno stato addirittura peggiore di quello da cui erano partiti. Era questo quello che volevo raccontare. Si parla sempre alla crisi in termini di cifre e bilanci, ma dietro la crisi ci sono persone e storie individuali terribili.”

Aprendo i nostri occhi e le nostre menti ad esperienze lontane, descrivendo mondi altrimenti sconosciuti, le immagini veicolate dai media possono essere dunque fonte di riflessione. Come nel caso di The tiger’s tail e Une vie meilleure le cui sequenze mettono in scena una realtà profondamente diversa da quella artificiosamente costruita nel nostro sentire comune. Nell’Irlanda del 2008, ad esempio, come testimoniano le parole e le inquadrature di John Boorman, “emerge il gap sociale causato dal boom, in cui i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri” e si manifestano “problematiche anche dal punto dei giovani che non trovano un loro posto in questa società”. Un quadro ben diverso da quello idilliaco, di società in fiorente espansione, che circolava all’epoca. Come si spiega dunque la distanza che spesso si crea fra il pensiero comune e la realtà? Come si giustifica il gap che li separa? È proprio in questo divario che si manifesta la forza, ambigua e mistificante, delle immagini.

Pensiamo ad esempio alla sicurezza di Nicolas Sarkozy, emblema di una Francia, leader, insieme alla Germania, di un’Europa in crisi. Quella che giunge sui nostri piccoli schermi è l’apparenza di un paese forte, sicuro della sua società e della sua economia. “La Francia però è molto più vicina ai paese fragili di quanto si pensi”, ammette Cédric Kahn, “siamo solo bravi a far credere che non sia così”. Implicita nella dichiarazione del regista è dunque la manifestazione del potere mistificatore delle immagini. “L’immagine che la Francia da di se è molto diversa dalla realtà. La situazione è molto difficile, il livello della povertà è cresciuto molto negli ultimi anni, il tenore e lo stile di vita sono calati enormemente rispetto ai tempi recenti e i servizi pubblici, che una volta erano uno dei punti di forza del sistema francese, sono molto degradati”. Il quadro che emerge dalle parole e dalle scene di Un vie meilleure è dunque radicalmente diverso da quello mostrato, con altezzosa sicurezza, dal presidente Sarkozy. Un esempio emblematico della forza dirompente delle immagini in grado di costruire una realtà parallela, così paradossale da far esclamare “Impossible et pourtant là!” (impossibile, eppure reale).

Ma la potenza di questo strumento della comunicazione non si limita alla costruzione di impossibili eppur vere realtà parallele. Le immagini infatti condizionano la nostra vita, le nostre scelte. Non ci guidano o ci ingannano; ci governano. Anche in questo caso il racconto di Un vie meilleure appare significativo: “La debolezza del protagonista è quella di voler entrare in un meccanismo di illusoria felicità, in un mondo di apparenti ricchezze. Il suo percorso personale si basa proprio su questo: voler acquistare la felicità attraverso la ricchezza”, ricorda sempre Cédric Kahn, “i nostri desideri siano fondamentalmente condizionati dai modelli esterni e dalla società capitalistica. Spesso pensiamo che il migliore dei mondi possibili sia quello che non vediamo nel mondo capitalista. Per questo ci lasciamo spingere dalla società a consumare, comprare ed indebitarci”. Un processo simile a quello raccontato da John Boorman pochi anni prima, in un’Irlanda in cui “le persone, sentendosi finalmente libere, hanno abusato di questa libertà”.

Davanti a questo apparente strapotere, a questa forza dirompente che dai nuovi e vecchi mezzi di comunicazione invade le nostre vite, non sembra possibile porre degli argini se non quello di un ferreo spirito critico che analizzi e rifletta sulle realtà che gli vengono proposte. Quanto più forte si manifesta l’influenza di questi strumenti tanto più vigile dev’essere l’attenzione dello spettatore, chiamato ad essere non più audience passiva, ma protagonista attivo di questo processo, per lasciarsi guidare e non governare.

 

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