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Il nuovo corso è anche una questione di stile

di Fabio Germani

Naturalmente, ora, il governo verrà giudicato alla prova dei fatti. È pur sempre un fatto, tuttavia, che in poche altre occasioni (ci sbilanciamo, mai) un esecutivo nato a seguito di un’acuta fase di crisi economica godesse di tali consensi. Le proteste degli studenti di giovedì, a Milano come a Roma, sono al contrario sintomatiche di un’idea che circola finanche tra alcune forze politiche, pensiamo alla Lega Nord e in taluni esponenti dell’Idv: l’Italia è sotto scacco delle banche. Un’ipotesi che Mario Monti ha respinto con vigore, ma allo stesso tempo con una rara pacatezza capace di non aizzare particolari reazioni. I poteri forti “sono espressioni di pura fantasia, che ritengo offensive”, ha chiosato in Aula il neo premier aggiungendo una postilla dal tono ironico: “Magari l’Italia ne avesse un po’ di più”, di poteri forti.
Questione di stile, di cui Monti aveva offerto un assaggio giovedì a Palazzo Madama. “Prego, continuate a chiamarmi professore: i presidenti passano, i professori restano”, ha detto venerdì ai deputati citando Spadolini. E ancora: “Ci sentiamo veramente in spirito di servizio, con un atteggiamento di umiltà, ma anche di determinazione, per favorire una almeno parziale deposizione delle armi. Da parte nostra c’è una profonda dipendenza del governo dal Parlamento, ma non userei il termine di ‘staccare la spina’, non ci consideriamo un apparecchio elettrico, e saremmo incerti se essere un rasoio o un polmone artificiale”. Monti è ancora poco accorto nella veste di premier, si è visto quando ingenuamente ha mostrato per la felicità di fotografi e cronisti il biglietto di Enrico Letta alla Camera. Ma questo è nulla in confronto agli impegni che lo attendono, piuttosto sarà fondamentale capire come il nuovo governo intenderà risollevare l’economia italiana, quali misure adotterà (tra Ici, pensioni, mercato del lavoro e liberalizzazioni Monti scontenterà chi a destra, chi a sinistra), quando potrà dirsi conclusa la missione per cui è stato chiamato in causa.
Mettendo da parte i lutti al braccio per una presunta morte della democrazia (Scilipoti capirà, il capo dello Stato ha in ogni caso agito secondo le sue prerogative) la prima notizia è l’incontro a tre che si svolgerà la prossima settimana (giovedì, da quanto si apprende) tra Germania, Francia e Italia, vale a dire le prime tre economie della zona euro, accantonando per una volta l’asse “Merkozy”. Un segnale che potrebbe significare molto in chiave futura e che proietta l’Italia a vocazione europeista in una direzione diametralmente opposta rispetto a quella emersa in diverse occasioni durante il governo Berlusconi. Troppo presto per affermare se ciò è un bene, ci sarà da prestare attenzione. Così come è auspicabile un maggiore controllo della stampa, nella migliore tradizione anglosassone, troppo avvezza ultimamente a isterici retroscena di dubbio valore giornalistico. Buchi nell’acqua, più che altro.

 

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