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Il nuovo governo. Monti non insegua il consenso

di Antonio Caputo

Tecnico lo hanno voluto (le forze politiche) e tecnico, che più tecnico non si può, è stato il nuovo governo: un prefetto all’Interno; un ambasciatore agli Esteri; un ammiraglio alla Difesa; un’avvocata di grido alla Giustizia; un rettore all’Istruzione; diversi direttori generali dei ministeri promossi titolari del rispettivo “portafoglio”.
Nella composizione del suo governo, Monti, incassato a malincuore il veto sulla presenza di politici nella squadra, si è mosso con assoluto equilibrio, bilanciando competenza tecnica e orientamento politico dei nuovi ministri: alcuni sono di area centrodestra, altri di area centrosinistra, diversi sono vicini all’UdC e al mondo cattolico, alcuni sono davvero difficili da etichettare. Unica perplessità: la
presenza in un ruolo-chiave del banchiere Corrado Passera; la perplessità non è sulla persona, né sulle competenze (ha risanato le Poste svolgendo un ottimo lavoro), ma sul fatto che in un governo formato per fronteggiare una crisi nata dalle banche, è discutibile l’opportunità di inserire un banchiere in un ministero cardine (anzi, due accorpati).
Nel generale apprezzamento (partiti, Vaticano, giornali, cancellerie, istituzioni comunitarie ed economiche), qualche nota fuori da coro è stata il sarcasmo (trasversale) di alcuni titoli di quotidiani: Il Giornale (“Governo di larga -Banca- Intesa”); Il manifesto (“I banchieri di Dio”); il Fatto Quotidiano (“Dio, Banche e Famiglia”).
Dicevamo della presenza di politici nell’esecutivo: fino all’ultimo Monti e il presidente Napolitano hanno cercato di strappare al Pd il “placet” all’ingresso di Gianni Letta nel governo (il che avrebbe significato il conseguente ok del Pdl a Giuliano Amato), ma Bersani è stato irremovibile. Il disappunto del premier, e soprattutto del presidente della Repubblica, è stato palese e si è manifestato nel pubblico e, di potrebbe dire ostentato, ringraziamento ed attestato di stima del capo dello Stato (ma anche di Monti) all’ex sottosegretario di Berlusconi, da molti letto (correttamente) come schiaffo di Napolitano al Pd.
Un errore politico il veto a Letta? Senz’altro: con la presenza di esponenti direttamente riconducibili ai partiti, l’esecutivo si sarebbe rafforzato e avrebbe avuto un’assicurazione sulla vita per arrivare al 2013, pur nel non agevole percorso da affrontare. Ma proviamo a metterci nei panni di Bersani: è stato il segretario che ha decretato l’uscita di scena definitiva del Cavaliere; poteva capitalizzare andando alle elezioni (e vincerle, dati i sondaggi); i tempi ristretti non avrebbero consentito il ricorso alle primarie, e pertanto la candidatura (e la ragionevole certezza della vittoria) a Palazzo Chigi nessuno gliel’avrebbe potuta strappare; rinuncia al voto ed appoggia il nuovo governo, che gioco forza prenderà anche misure indigeste al proprio elettorato, oltretutto in maggioranza con l’“odiato” Cavaliere (non da lui personalmente, ma da una parte del suo elettorato) e deve anche accettare il braccio destro di Berlusconi in un ministero di peso? Era troppo per il segretario Pd. ci ripetiamo: è senz’altro un errore, ma più d’una ragione all’ex ministro “liberalizzatore” va riconosciuta.
Nel discorso programmatico di Monti alle Camere, risaltano le parole sacrifici (ma non “lacrime e sangue”), equità, crescita. Il professore ha parlato di tassazione sulla prima casa (probabile la reintroduzione dell’Ici), ma non di patrimoniale (cosa che peraltro l’Europa non ha chiesto); di pensioni, per incidere sulle ingiustificate “tare di privilegio” (e tutti vi hanno letto un accenno alla cancellazione dell’anzianità); di mercato del lavoro, dove va superata la dicotomia tra iper-garantiti e non garantiti; di lotta all’evasione; di dismissioni immobiliari e di tagli (speriamo sia la volta buona) ai costi della politica, settori, questi ultimi, nei quali ha fatto cenno (come peraltro per la tassazione sulla prima casa, come attuazione della delega sul federalismo municipale; e per la riforma fiscale) a decreti e disegni di legge già predisposti dal governo uscente, segno (almeno parzialmente) di continuità nella gestione dello Stato.
Apprezzamenti incondizionati dal Terzo Polo, abbastanza calorosi dal Pd, più tiepidi dal Pdl. L’Idv pur avendo votato la fiducia ha chiarito che non intende entrare in maggioranza ed esprime perplessità
sui conflitti d’interesse presenti; opposizione decisa della Lega (in Parlamento) e (fuori) di Vendola.
Il lavoro da fare (“di corsa”) sarà tanto ed è nell’interesse del Paese che venga fatto presto e bene. Unica considerazione: Monti è lì per fare, da tecnico, col consenso di un’amplissima maggioranza (le fiducie nelle Camere sono state da record) le riforme dure ed impopolari che la politica per ragioni di consenso elettorale non è stata in grado di perseguire; non insegua, il professore, il consenso: sarebbe un errore, per il Paese che ha nella carta-Monti l’ultima possibilità per evitare il baratro. Giocarla male inseguendo il
consenso sarebbe la cosa peggiore.

 

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