Agenda digitale italiana cercasi
Il nuovo rapporto di Confindustria su Ict e Banda Larga ci aiuta a capire quanto sia inespresso il potenziale delle tecnologie digitali in termini di crescita economica e risparmio. Per questo motivo Gaetano Galateri, che ha coordinato la stesura del report, ha più volte sollecitato il governo affinché, in tempi brevi (entro il 5 dicembre), prenda provvedimenti in materia. Carmine Fotina, sul Sole 24 Ore di ieri, sintetizzava il rapporto snocciolando dati emblematici. Un esempio? Ogni incremento del 10% della diffusione della banda larga genera un 1,2% annuo di crescita. Fotina ci ha ricordato dell’esistenza di un problema di digitalizzazione sia per quanto riguarda i singoli (il 40% degli italiani non ha mai utilizzato un pc), che per quanto concerne le aziende (solo il 55% delle imprese possiede un sito internet e appena il 16% si lancia nell’e-commerce).
E ancora, soffermandoci sempre sul caso italiano: 2,3 milioni di persone non possono usufruire di una connessione a 640 kbs, 7,2 milioni vivono in assenza di una connessione a 2 mega. Se si puntasse sull’innovazione tecnologica, avremmo costi nettamente inferiori in svariati campi: nel solo settore sanitario si potrebbero risparmiare tra i 3 e i 5 miliardi di euro.
Forse era il caso, a livello governativo, di affidare ad un’unica figura il compito di gestione dell’agenda digitale italiana (diverse fonti indicano che, in tal senso, qualche speranza ancora c’è). Come ha scritto Luca De Biase, adesso si aprono due strade:
Nella prima ipotesi, l’agenda digitale è una tale priorità del governo che non viene considerata come una funzione specialistica da affidare a un sottosegretario ma le azioni che richiede vengono assunte dalla collegialità del governo (infrastrutture e banda larga, istruzione e analfabetismo funzionale e tecnologico, sviluppo e facilitazione per l’avvio di nuove imprese, fisco e definizione delle aliquote nell’ecommerce, e così via).
Nella seconda ipotesi, internet continua a essere vista come un giochino per amanti di Facebook, vagamente pericoloso per quelli che lavorano sui media tradizionali, poco comprensibile e dunque poco prioritario, e così via.
Capire cosa ci auguriamo in questa sede non è impresa ardua.
Questo articolo è stato inizialmente pubblicato qui.