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Quando l’Ue era “la più bella invenzione”

di Fabio Germani

“Ho cercato di fare muovere l’Europa, ma è l’Europa che mi ha cambiato”. Sembra passata una vita. Era il dicembre del 2008 e così l’inquilino dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy, salutava a Bruxelles il semestre francese per fare posto alla presidenza ceca. Ai tempi – la crisi economica era già iniziata, ma le previsioni erano decisamente più rosee – nessuno si azzardava a paventare catastrofi, crollo della moneta unica, piani di salvataggio da decidere in extremis. Per quanto la situazione fosse già complicata, non c’era motivo di temere tragedie (greche e non solo).
A sentirlo parlare oggi, Sarkozy, viene spontaneamente da chiedersi in cosa il Vecchio Continente abbia fallito. In queste ore Parigi è apparsa particolarmente in fermento. “L’Europa rischia di essere spazzata via dalla crisi se non riuscirà a riprendersi”, ha detto non molti giorni fa Sarkozy.
Un presentimento non campato in aria. L’Ue – “la più bella invenzione del XX secolo”, come lo stesso presidente francese la definì nel suo discorso di commiato – si appresta a vivere le sue ore più febbrili. Il vertice in programma a Bruxelles (iniziato giovedì sera) dovrà dare delle risposte concrete al fine di fronteggiare la crisi del debito che ha colpito l’eurozona. E che rischia di estendersi agli altri Paesi, considerata la posizione di Standard & Poor’s secondo cui il rating dell’intera Unione potrebbe perdere la tripla A. Per queste ragioni il duo Merkel-Sarkozy è intenzionato a proporre l’accordo raggiunto in settimana sulla necessità di nuovi trattati che impongano un maggiore rigore e rispetto delle regole ai Paesi membri. “La Corte di giustizia europea – aveva già annunciato Sarkozy – non potrà in alcun caso annullare i singoli bilanci degli Stati membri” e dovrà “verificare se ogni Stato rispetta la regola d’oro iscritta nella Costituzione” del pareggio di bilancio. “Vogliamo sanzioni automatiche per i Paesi che non rispetteranno la regola del deficit al 3% del Pil”.
L’idea di Berlino (a cui Parigi si è accodata) in soldoni è quella di inasprire le sanzioni e varare un coordinamento fiscale. In questo senso la seconda proposta franco-tedesca, vale a dire anticipare al 2012 il meccanismo di stabilità, può servire a placare i mercati in vista di eventuali modifiche ai trattati. Che difficilmente potranno essere avallate dall’intera Unione a 27 e che rischiano, perciò, di coinvolgere esclusivamente i 17 Paesi dell’euro. Una mossa del genere, per quanto forse inevitabile, rischia si spezzare ulteriormente la tenuta dell’Ue che già in altre occasioni si era rivelata poco coesa. Con il passare dei mesi, infatti, sono emersi tutti quegli egoismi che hanno ostacolato la chimera degli Stati Uniti d’Europa. Ad esempio non si sa a quale triste destino verrà abbandonato il libro verde presentato dalla Commissione europea che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di eurobond, titoli di debito comuni, su cui la Germania ha posto il veto per non farsi ulteriore carico delle economie più deboli. Altro nodo spinoso è il ruolo della Bce, che manterrà sostanzialmente gli stessi poteri e non avrà un peso maggiore quale prestatore di ultima istanza sul modello della Federal Reserve.
Eppure il momento è così delicato da prendere in considerazione una reale svolta. L’Unione europea è costretta a ripensare se stessa se vuole sopravvivere alle intemperie della crisi economica. Perché il suo disagio è antecedente e riguarda gli innumerevoli buoni propositi scaduti nel nulla. Dalla discussa Unione per il Mediterraneo, strenuamente voluta dallo stesso Sarkozy, alla fallimentare Strategia di Lisbona, sono tanti i punti controversi che hanno minato dalle fondamenta la credibilità dell’Unione. La crisi può (e deve) essere l’occasione giusta per rilanciare la “più bella invenzione del XX secolo”. A meno che non sia già troppo tardi.

 

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