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Il lavoro? “Basta rispettare le regole”

di Fabio Germani

Archiviata la manovra, ecco la fase due. Sul piatto della bilancia le misure volte alla crescita. Il governo non ha fatto mistero di quelle che sono le priorità, dalle liberalizzazioni alla riforma del mercato del lavoro. Anche se c’è chi, come Roberta Bortone, professoressa di Diritto del lavoro all’università di Roma La Sapienza, ritiene che quest’ultimo aspetto non abbia bisogno di ulteriori riforme legislative. “Ormai sono anni – spiega la professoressa a T-Mag – che, al cambiare delle maggioranze di governo, vengono proposte modifiche anche profonde del diritto del lavoro e cambiamenti troppo frequenti nella regolamentazione corrono il rischio di creare incertezze e di aumentare la litigiosità, con esclusiva soddisfazione degli avvocati. Del resto, il diritto del lavoro italiano è sostanzialmente in linea con le indicazioni dell’Unione europea e con quanto in vigore nei Paesi dell’Europa continentale”.
“Certo – prosegue Bortone la sua disamina -: miglioramenti della disciplina sono possibili, ma si tratterebbe secondo me di piccoli cambiamenti che potrebbero essere adottati facilmente ed in modo condiviso. Quello che manca da noi, piuttosto, e non solo nel campo del lavoro, è una cultura diffusa del rispetto delle regole, cosicché le aziende meno corrette tendono a mettere in pratica meccanismi elusivi, o fraudolenti, o addirittura illeciti che alterano in modo patologico il mercato. Penso prima di tutto al lavoro sommerso, ma anche all’uso dei contratti di collaborazione per mascherare veri contratti di lavoro subordinato. Questi casi dimostrano che non è necessario cambiare le regole, ma che basterebbe farle rispettare. Esattamente come accade in materia di sicurezza del lavoro. È inutile, in occasione di ogni infortunio mortale, invocare un inasprimento delle sanzioni, quando invece si dovrebbe puntare ad un’intensificazione dei controlli preventivi e ad un rafforzamento degli organismi preposti al controllo ed alla prevenzione, che invece spesso sono privi delle risorse necessarie”.
Insomma, aggiunge la professoressa, “non servono ulteriori margini di flessibilità del lavoro, ma sarebbero necessari interventi di politica industriale in grado di arginare la riduzione della base produttiva nel nostro Paese e di sviluppare nuove occasioni di lavoro”.
A tale proposito non sono neppure mancate – sebbene ritirate dopo il (momentaneo?) passo indietro del governo sul tema – le polemiche riguardo possibili modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
“L’articolo 18 – risponde Bortone che sull’argomento aveva scritto il 21 dicembre sul Fatto quotidiano – non disciplina i licenziamenti ma solo le conseguenze di una sentenza di condanna dell’imprenditore per licenziamento illegittimo. Perciò non è questa la norma che può essere accusata di creare la cosiddetta rigidità in uscita, la quale nasce piuttosto dalle norme che subordinano il licenziamento all’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. I problemi concreti connessi all’art. 18 – osserva ancora – nascono dai tempi troppo lunghi, spesso diversi anni, che intercorrono tra licenziamento illegittimo e sentenza, perché il datore di lavoro è condannato a pagare, come risarcimento, tutte le retribuzioni non versate in quel periodo. Si tratta spesso di una cifra molto alta, che dipende non dall’art. 18 ma dalla lunghezza dei processi, e che è in grado di mettere in difficoltà soprattutto le aziende di piccole/medie dimensioni.
Dunque ribadisco che ormai l’art. 18 è diventato un simbolo e che bisognerebbe discutere di altro”.
Quale modello, allora, per rilanciare l’occupazione? “Il modello della flexicurity, verso la quale ci spinge la politica dell’Unione europea, è addirittura affascinante – afferma la professoressa, presidente dell’associazione Polis (Progetto per l’Occupazione e il Lavoro e Idee per lo Sviluppo) -. E non solo perché il lavoratore è costantemente garantito dal punto di vista del reddito. Infatti, ogni interruzione della carriera lavorativa viene indennizzata in modo adeguato e allo stesso tempo il lavoratore è costantemente accompagnato da una rete di servizi per l’impiego in grado di orientarlo, perfezionare e tenere aggiornato il suo profilo professionale o riqualificarlo quando ciò si renda necessario. Secondo me questa è la situazione utopica verso la quale tendere, ma senza dimenticare sia i problemi italiani sia la situazione contingente.
Quanto al momento contingente, mi pare evidente come non ci siano le risorse finanziarie per garantire adeguati ed universali sostegni al reddito per i periodi di disoccupazione. Non a caso il collega Ichino propone che siano le aziende a farsi carico dei relativi costi. Inoltre non bisogna dimenticare che proprio la situazione territorialmente frammentata dei servizi per l’impiego presenti in Italia e la loro media incapacità di svolgere le funzioni che un modello di flexicurity richiederebbe, sono i due elementi sotto il costante ed attento monitoraggio dell’Unione europea. Ma quello della scarsa efficienza dei servizi per l’impiego sarebbe un discorso troppo lungo per questa sede”.
Donne e giovani, le due categorie che soffrono maggiormente le difficoltà del mercato del lavoro. Suggerimenti? “Questo – sentenzia Bortone – è un tasto che mi trova particolarmente sensibile ed altrettanto amareggiata. Ormai da troppo tempo si vanno evidenziando le problematiche della scarsa occupazione di donne e di giovani e ciononostante non sono messe in pratica adeguate politiche di sostegno, che secondo me potrebbero consistere in incentivi di tipo fiscale o previdenziale, ovviamente nel rispetto della normativa europea in tema di aiuti di Stato. La questione di genere, poi, si è addirittura incancrenita a causa di quello che io considero un vero e proprio arretramento culturale prodottosi negli ultimi 10-15 anni, al punto che molte donne sono talmente scoraggiate da rinunciare a cercare lavoro.
Mi sembra che, sia pure in modo strisciante, si stia riproponendo un modello sociale che vede la donna dedicarsi soprattutto alla famiglia, al punto che da diverse parti politiche si sente dire che l’occupazione femminile è ostacolata dall’insufficienza di servizi per la famiglia, come se tutto il peso dei compiti di cura familiare dovesse gravare, quasi per cause naturali, solo sulle spalle delle donne. Rispetto agli aspetti culturali che investono la questione di genere – conclude la professoressa Bortone -, siamo lontanissimi dagli altri Paesi dell’Unione europea e credo che saranno necessari notevoli sforzi per liberarci dell’enorme fardello di stereotipi che si sono nuovamente accumulati nella nostra società”.

 

1 Commento per “Il lavoro? “Basta rispettare le regole””

  1. […] dell’università di Modena e Reggio Emilia, allievo di Marco Biagi e presidente di Adapt e Roberta Bortone dell’università La Sapienza, presidente dell’associazione Polis – soffermandoci con loro […]

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