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La strana pratica dei ritiri sportivi

di Gabriele Ziantoni

All’inizio fu l’Olanda di Cruyff. Poi l’Inghilterra di Eriksson. E infine la Roma di Spalletti, ma solo se era così brava da occupare i primi due gradini del podio. Nel calcio, come nell’arte, però, solo l’imitazione di autore, quella che copia l’idea, ma ne riempie gli spazi vuoti, causa principale del fallimento altrui, di puro talento, è riuscita a raggiungere qualcosa. Nemmeno a dirlo, si parla del Barcellona di Pep Guardiola.
La strana pratica dei ritiri sportivi. L’usanza di dormire, prima di una gara, lontano da casa, nel centro tecnico d’allenamento, piuttosto che in albergo se si gioca in trasferta, ha principalmente due motivi di esistenza: la conciliazione di uno stato di concentrazione e la ricerca della amalgama. Il terzo, quello che desta maggiori preoccupazioni, non lo cita mai nessuno, ma solo per pudore: la paura che i giocatori si diano al sesso più sfrenato. Se con le proprie mogli o con amanti occasionali, interessa il giusto. L’importante è salvaguardare il prezioso testosterone, evitandone la dispersione tra le lenzuola, per destinarlo interamente al campo di battaglia. Ergo il terreno di gioco.
L’argomento ritiro è ritornato di scottante attualità a causa di una decisione singolare del tecnico della Roma Luis Enrique: in vista della trasferta di Napoli, alla squadra è stato concesso di partire la domenica mattina, sfruttando l’alta velocità delle moderne ferrovie italiane e rinunciando, di fatto, al consueto pernottamento in terra partenopea. La scelta ha avuto effetti insperati e ha segnato una prima volta importante nel calcio italiano: la formazione giallorossa ha dominato il San Paolo, espugnandolo addirittura per 1-3.
Detestato dai calciatori, venerato da presidenti e allenatori, il ritiro ha, dunque, origini e motivazioni comuni, ma realizzazioni assolutamente differenti, spostandoci negli anni, ma soprattutto lungo i meridiani della cartina geografica.

L’Olanda degli anni ’70: la squadra beat. Se “l’Arancia Meccanica” non fosse mai scesa in campo, non sarebbe esistito il calcio così come lo intendiamo adesso. Figlia delle rivolte del ’68 nel modo di vestire dei propri giocatori, ma soprattutto in quello di giocare, la selezione di Rinus Michels fu talmente bella da ispirare centinaia di appassionati, pur non vincendo nulla. Era una squadra “totale”, che per la prima volta fece del pressing asfissiante e del fuorigioco sistematico, un modello di gioco, sdoganando il concetto di “ruolo” e “sessualità”. Il portiere Jongbloed non toccava quasi mai il pallone con le mani, portava il numero otto sulle spalle e aveva anche qualche problema alla vista. I terzini spingevano come dei forsennati e spesso trovavano il gol. Gli attaccanti non ristagnavano nella metà campo avversaria, ma con grande facilità rientravano per dar man forte ai centrocampisti in fase di non possesso palla. Era una squadra meravigliosa e invidiata, non solo per la fantasia applicata al calcio, ma anche perché era l’unica a potersi permettere le mogli in ritiro. Le fidanzate e le compagne dei giocatori olandesi, infatti, erano ospiti della Federazione e dormivano insieme ai mariti, cosa assolutamente vietata ai componenti delle altre nazionali. L’Olanda “totale” dominò due Mondiali, perdendoli entrambi in finale: il primo nel ’74 contro la Germania padrona di casa, il secondo nel ’78 contro l’Argentina, affondata soprattutto dalle decisioni di un arbitro italiano: Gon(n)ella. Forse un segno del destino…

Inghilterra no, Germania sì. Provate a dire “ritiro” in inglese e sentirete risposte di ogni tipo. “No way” sarà quella più gettonata. Si sa, il calcio oltre manica è sempre funzionato in maniera differente. Quando si gioca in casa molti atleti raggiungono lo stadio addirittura in bicicletta, se invece si è di scena in trasferta si contano i chilometri. Per più di 200 si opta, giustamente, per una notte in albergo, altrimenti si parte la mattina presto in pullman, come se si fosse in gita scolastica. E la amalgama? Quella si conquista dopo la gara in un pub. L’ubriacatura, molesta o non, aiuta a fare gruppo.
Discorso differente per la Germania dove per obbligo della Federazione la squadra che gioca fuori casa deve raggiungere la città avversaria, almeno con un giorno d’anticipo. Molto importante è l’utilizzo del pullman della società: l’ingresso in terra nemica deve avvenire con un mezzo “griffato”, che porti il simbolo del club. Questo inorgoglisce e carica i giocatori. Almeno a sentire i tedeschi.

Barcellona: grande in tutto. “Le persone comuni prima di andare a lavoro non passano un giorno rinchiusi in hotel. Cerco di far condurre ai miei giocatori una vita normale. Se poi non si riposano o non si prendono cura di loro stessi, giocheranno male e perderanno l’impiego”. Musica e parole di Pep Guardiola. Differente, ma grande, in tutto, il tecnico del Barcellona rispondeva così ai giornalisti che gli chiedevano il perché dell’eliminazione delle concentraciones, dei ritiri, molto gettonati in Spagna, soprattutto dal Real Madrid di Mourinho. “Non faccio il poliziotto e alle dieci già dormo, per cui non controllo i miei ragazzi. Preferisco siano a casa con le loro famiglie, piuttosto che ad annoiarsi in un albergo”, ha ribadito Guardiola. Questo a costo anche di fare delle figure che poco si addicono alla squadra Campione d’Europa e del Mondo in carica. Lo scorso anno, infatti, i blaugrana sono arrivati a Pamplona, per una sfida contro l’Osasuna, proprio per il rotto della cuffia. A causa di uno sciopero selvaggio dei treni, Messi e compagni hanno raggiunto il “Reyno de Navarra” con mezz’ora di ritardo. Indovinate com’è finita la partita?

 

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