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SOPA: Stop Online Piracy Act

di Fabio Germani

SOPA: Stop Online Piracy Act. Si tratta di una proposta di legge in queste settimane allo studio del Congresso degli Stati Uniti, ideata da Lamar Smith, deputato repubblicano.
Senza troppi giri di parole il provvedimento mira a contrastare la pirateria online. Spiegato in questo modo non ci sarebbe nulla da eccepire non fosse altro che l’obiettivo è quello di censurare i siti che ospitano contenuti che violano il diritto d’autore.
Per quanto la proposta abbia trovato l’immediato sostegno di major discografiche e produttori cinematografici, la Casa Bianca ha reso noto pochi giorni fa che non sosterrà il SOPA. A scriverlo sul blog istituzionale sono stati componenti di spicco dello staff di Obama: Victoria Espinel, Aneesh Chopra e Howard Schmidt, titolari rispettivamente della difesa della proprietà intellettuale, dello sviluppo tecnologico e della cybersicurezza. “Sebbene riteniamo che la pirateria online da parte di siti stranieri sia una problema grave che necessiti di una serie risposta legislativa, non sosterremo leggi che riducono la libertà di espressione, aumentano il rischio in materia di cyber-sicurezza, o minano il dinamismo e l’innovazione di internet a livello mondiale”, hanno chiarito dunque dalla Casa Bianca. Che deve avere recepito, evidentemente, le istanze non solo dei singoli utenti, impegnati da tempo a contrastare il varo della legge tramite petizioni online, ma anche dei colossi di internet quali Google, Yahoo!, Twitter e Facebook. Secondo alcuni, infatti, i possibili strumenti legislativi di cui gli Stati Uniti potrebbero avvalersi non si discosterebbero troppo dai metodi, certamente poco ortodossi, perpetrati in Cina per oscurare siti ritenuti scomodi dalle autorità.
Il 24 gennaio prenderà il via la discussione in Senato (in questi giorni sono stati presentati diversi emendamenti in commissione Giustizia della Camera) e anche Rupert Murdoch, il magnate australiano dell’editoria, non ha gradito la posizione della Casa Bianca. “Obama si è dunque unito ai padroni della Silicon Valley che minacciano di pirateria e di furto puro e semplice tutti i creatori di software”, ha sostenuto “lo squalo” su Twitter il 14 gennaio in riferimento al comunicato pubblicato dallo staff presidenziale. Per poi creare un caso nel caso alcuni giorni dopo, scrivendo: “Seems like universal anger with Optus from all sorts of normal supporters. Maybe backing pirates a rare miscalculation by friend Axelrod”. Murdoch, il quale peraltro non è nuovo a gaffe su Twitter, ha digitato Optus anziché Potus che sta per President of the United States. Ma pur ammettendo l’errore poco dopo (colpa dell’iPad, si è giustificato) i tantissimi followers non gli hanno risparmiato battute al vetriolo. Non un gran male in verità per Murdoch, il suo pensiero è giunto in ogni caso forte e chiaro a chi doveva giungere. E mentre Google – accusata dal magnate di diffondere materiale pirata – si difendeva ricordando che lo scorso anno sono state rimosse cinque milioni di pagine web illegali dal proprio motore di ricerca, da giorni circola la voce di un possibile “sciopero” di internet organizzato dalla NetCoalition, organizzazione a cui si sono associati Facebook e altri social network nonché motori di ricerca. Non è chiaro se realmente avverrà una tale nuclear option, intanto però Jimmi Wales, fondatore di Wikipedia, ha annunciato che la versione in inglese del sito andrà offline mercoledì per protesta.
E non è tutto. Al Senato, infatti, transita il PIPA (Protect IP Act), un progetto “gemello” del SOPA presentato dal democratico Patrick Leahy.

 

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